Noi Occidentali – ammesso che abbia ancora un senso parlare di Noi Occidentali – abbiamo smesso di volere esportare la democrazia sulle punte delle baionette: dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l’avevamo, anzi l’avevano – loro, gli Alleati – difesa da nazismi e fascismi, non c’è stato nessun tentativo del genere andato a buon fine. La democrazia nel Mondo è cresciuta, anche se non come avrebbero voluto liberali e progressisti, idealisti e rivoluzionari, e come avrebbe dovuto e potuto. Ma ora fatica a conquistarsi nuovi spazi, come dimostrano le vicende diversissime di Hong Kong e della Cina e di Russia e Bielorussia.
A parte le guerre post coloniali, che andavano contro il corso della storia e che sono finite tutte male – o bene, nel senso che hanno sempre vinto i popoli che lottavano per l’indipendenza -, ci sono stati decenni di conflitti per arginare l’avanzata del comunismo, più che per promuovere la democrazia – esempi: Corea e Vietnam –; e poi le guerre per rovesciare regimi a noi invisi, tipo l’Afghanistan e l’Iraq. Dove il ‘regime change’ è riuscito, ma la democrazia è rimasta insabbiata tra corruzione e faide, rivalità tribali, etniche, religiose, ideologiche.
L’unica guerra del dopo guerra venutaci bene – se una guerra può venire bene – fu quella del Golfo del 1991, quando il ricorso alla forza, avallato dall’Onu, ristabilì la legalità internazionale, restituendo al Kuwait la sua indipendenza. E l’allora presidente degli Stati Uniti George H.W. Bush ebbe l’intelligenza e la lucidità di fermarsi al missione compiuta, cioè la liberazione del Kuwait, senza farsi tentare dal cambio di regime a Baghdad che, invece, abbacinò, 12 anni dopo, suo figlio George W. (e ancora ne portiamo le conseguenze).
Ma se è giusto non esportare la democrazia sulle punte delle baionette, la democrazia spesso non sa e non riesce a imporsi da sola, nonostante il crollo del comunismo tra Europa e Asia le abbia creato spazi di crescita e nonostante segnali di modernità nel Mondo islamico, che però oscillano ancora tra teocrazie e monarchie (quasi) assolute. Le storie di successo si contano sulle dita di due mani: l’America latina, certamente; il Sud Africa, assolutamente; la Tunisia post Primavere arabe.
Altrove, la democrazia è fragile o è solo un simulacro, sotto cui c’è un regime o un uomo forte: guardiamo lontano, a Hong-Kong, che la Cina vuole riformattare sul suo modello – crescita senza democrazia, dinamismo economico e rigidità politica -; e guardiamo vicino, alla Bielorussia, che è traversata da settimane da manifestazioni contro l’oligarca despota, alla Russia, dove l’eliminazione dell’oppositore resta una tentazione ricorrente, dal Gulag al Novichok. Più avanti, apriremo squarci sull’attualità in quei Paesi
Ora, se le baionette sono fortunatamente desuete, l’esempio potrebbe funzionare, specie nell’epoca della globalizzazione, pur messa tra parentesi dalla pandemia, e della comunicazione istantanea, alias ‘villaggio globale’. Ma qui casca l’asino, anzi il leader: Xi e Putin e Lukashenko sono magari pessimi, ma se l’Occidente offre modelli cospirazionisti alla Trump o negazionisti alla Bolsonaro c’è poco da sperare nell’esempio; anzi, c’è da sperare che i nostri ‘eroi’ non siano contagiosi, politicamente parlando.
Russia: Putin e il ‘vizietto’ con gli oppositori – Con l’avvelenamento di Alexei Navalny, può darsi che Vladimir Putin non c’entri nulla. Ma precedenti che inducano a pensare male ci sono: dalla giornalista scomoda Anna Politkovskaja all’ex spia ‘doppiogiochista’ Sergey Skripal. Ora, sale il coro di richieste al presidente russo perché si faccia piena luce: l’Onu chiede un’indagine “completa” e “imparziale”; i ministri degli Esteri del G7, attualmente sotto presidenza di turno Usa, invitano “a portare rapidamente davanti alla giustizia i responsabili”.
La responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, l’ex presidente cilena, rileva che “il numero di casi di avvelenamento o di altre forme di assassinio mirato di cittadini o ex cittadini russi negli ultimi due decenni è profondamente inquietante” ed esorta Mosca a svolgere un’indagine “completa e trasparente, indipendente e imparziale” sul caso Navalny.
Secondo le autorità tedesche – Navalny è attualmente ricoverato in un ospedale di Berlino e va migliorando -, le analisi cliniche dimostrano senz’ombra di dubbio che l’oppositore di Putin, sentitosi male sull’aereo che lo portava dalla Siberia a Mosca, è stato avvelenato con neurotossine ‘tipo Novichok’ contenute in una tazza di tè bevuta all’aeroporto prima di imbarcarsi. Il Cremlino respinge i sospetti e appare restio a ulteriori indagini, perché i medici dell’ospedale di Omsk, dove Navalny fu inizialmente trasportato e rimase un paio di giorni, non riscontrarono nel sangue tracce di sostanze tossiche.
Le neurotossine ‘tipo Novichok’ furono sviluppate in Unione Sovietica negli Anni 70 e 80: con esse si cercò d’eliminare Skripal, a Salisbury, in Inghilterra.
La Russia rischia nuove sanzioni dai Paesi Ue e Nato e la cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha la presidenza di turno del Consiglio europeo, non esclude ripercussioni sul gasdotto Nord Stream 2, che dovrebbe raddoppiare il flusso di metano dal Baltico verso la Germania. Per Mosca, la cui economia è già messa alla prova dal crollo del prezzo del greggio, sarebbe un brutto colpo. E Putin, la cui popolarità è già incrinata dall’epidemia di coronavirus e dalla conseguente recessione, potrebbe vedere ulteriormente appannata la sua leadership.
Bielorussia: tre donne toste, un dittatore e un ‘protettore’ – Un indebolimento di Putin sarebbe una iattura anche per Alexander Lukashenko, il dittatore bielorusso che, contestato in patria e criticato all’estero, conta sul sostegno dello ‘zar’ per restare al potere. Nel suo Paese, la situazione, però, è sempre più tesa, tra manifestazioni di massa a Minsk e altrove ed esili più o meno volontari e scomparse più o meno temporanee delle leader dell’opposizione – tre donne toste -. “Il cuore dell’Europa batte per i dimostranti”, dice la Merkel; quello dell’America un po’ di meno, forse perché Trump è distratto dalla campagna elettorale e forse perché il magnate non vuole infastidire troppo Putin, che gli sta dando una mano per la rielezione.
Nella sua prima intervista da quando la protesta popolare s’è organizzata, dopo le presidenziali farsa del 9 agosto, Lukashenko ha avvertito: “Se la Bielorussia cade, poi tocca a Mosca … Ho avvertito Putin, il mio ‘fratello maggiore’… “. Che la teoria del domino sia vera o meno, poco importa: l’ultimo ‘dittatore d’Europa’, che ammette “Forse sono rimasto al potere un po’ troppo”, non si sente più sicuro.
Il Cremlino ha un progetto di maggiore integrazione tra Mosca e Minsk e, per ora, sta con lui contro l’opposizione. Ma se il progetto di Putin non dovesse andare in porto, gli scenari potrebbero mutare.
Hong Kong: proteste e arresti, nel giorno delle elezioni mancate – Centinaia di arresti: la polizia di Hong Kong ha reagito con forza alle proteste pro-democrazia e anti-governative nel giorno in cui – domenica 6 settembre – si sarebbero dovute tenere le elezioni del Consiglio legislativo, rinviate d’un anno, al 5 settembre 202, dalla governatrice Carrie Lam, ufficialmente per i timori di un’ondata di ritorno di Covid-19.
L’Ue dice: “Gli arresti di centinaia di persone per aver preso parte a proteste pacifiche a Hong Kong sollevano serie preoccupazioni per la tutela delle libertà fondamentali … È essenziale che i diritti e le libertà dei residenti di Hong Kong siano pienamente protetti, compresa la libertà d’espressione, nonché la libertà di associazione e di riunione”.
Parole senza fatti, da parte europea. Gli Stati Uniti sono parchi anche di parole. La pandemia sposta attenzioni e priorità: l’attenzione delle organizzazioni internazionali per la stretta di Pechino resta elevata; la partecipazione e il coinvolgimento delle opinioni pubbliche si sono allentate. E la Cina ne approfitta, sostenendo che le manifestazioni sono alimentate “da forze esterne” per destabilizzare il Paese.
Domenica scorsa, le proteste hanno portato il caos, fino a tarda sera, a Mong Kok e a Yau Ma Tei, le aree più calde, dove gli agenti in tenuta antisommossa hanno utilizato spray e cartucce urticanti per disperdere la folla: ci sono stati tafferugli, scontri, incidenti. I manifestanti non sono stati dissuasi né dagli ammonimenti della vigilia a evitare assembramenti, anticipando una risposta “rapida e risoluta”, né dal ricorso preventivo alla nuova legge sulla sicurezza nazionale, costata l’arresto a decine di persone dall’entrata in vigore il 30 giugno.
Prima che iniziassero le proteste, Tam Tak-chi, vice-presidente del People Power, attivista dell’opposizione, è stato arrestato a casa sua per “avere pronunciato parole sediziose”. Ed almeno tre esponenti della Lega dei Socialdemocratici sono stati fermati. Joshua Wong, tra i volti più noti del fronte democratico, resta libero. Per quanto?, in questo clima.