Kellyanne Conway, consigliera del presidente Donald Trump – e sua stratega della comunicazione in campagna elettorale -, deve sentirsi ben sola alla Casa Bianca. Sola e preoccupata. E’ rimasta l’unica della campagna 2016 ancora vicina a Trump (e ai suoi incubi); ed è anche praticamente l’unica a non avere – fin qui – avuto guai con la giustizia, dopo il rinvio a giudizio e l’arresto, giovedì, di Steve Bannon.
Sarà perché Kellyanne, 53 anni, è una che sa stare al suo posto, nonostante un marito ‘impertinente’ con il presidente. L’unica ‘monelleria’ che le si attribuisce risale al 28 febbraio 2017: i fotografi la ripresero nello Studio Ovale in atteggiamento assai informale: seduta sulle ginocchia e con i piedi sul divano, armeggiando con lo smartphone, durante un incontro ufficiale. Le immagini le valsero critiche e frecciate sui social media. Ma tutto finì lì.
Invece, almeno sei suoi sodali della campagna 2016 sono finiti dietro le sbarre: roba da incubi. Bannon è l’ultimo: comparso ‘virtualmente’ in tribunale in manette e dichiaratosi “non colpevole” di frode, gli è stata concessa la libertà condizionata in cambio di una cauzione da 5 milioni di dollari e con restrizioni sui movimenti – può viaggiare fra New York e Washington, ma non può recarsi all’estero o usare aerei o barche privati -.
Bannon, stratega nel 2016 della campagna di Trump e poi suo consigliere alla Casa Bianca fino all’agosto 2017, è stato preso su uno yacht di 45 metri da 28 milioni di dollari, il Lady May, proprietà di Guo Wengui, miliardario cinese che sarebbe ricercato da Pechino per frode e tangenti. L’imbarcazione si trovava al largo delle coste del Connecticut.
L’inchiesta che lo coinvolge investe un’organizzazione chiamata ‘We Build the Wall’, ‘costruiamo il muro’: raccoglie fondi per tirare su il muro anti-migranti lungo il confine con il Messico, che Trump non riesce a portare a termine. Con Bannon, sono accusati Brian Kolfage, Timothy Shea e Andrew Badolato: raccoglievano i soldi, ma invece di usarli per costruire il muro, se li spartivano – almeno in parte – e se li spendevano.
Nella vicenda Bannon, ‘The Hill’, la rivista del Campidoglio di Washington, enuclea cinque punti di rischio per Trump, cinque suoi incubi:
Un team dietro le sbarre – Prima di Bannon, del team 2016 sono stati accusati di reati federali e finiti in carcere Paul Manafort, il manager della campagna, tuttora detenuto; Rick Gates, il suo ‘numero due’, che ha collaborato e patteggiato; l’amico e consigliere di Trump Roger Stone, graziato; il consigliere Michael Flynn, tuttora in bilico; e l’avvocato Michael Cohen, un cui libro sta per fare rumore.
Qualcosa da nascondere? – La Casa Bianca ricorda che Trump ha sempre detto che il muro deve essere un progetto pubblico perché “troppo grande e complicato per essere gestito da privati”. Ma, nel gennaio 2019, l’ex governatore del Kansas Kris Kobach disse: “Ho parlato con il presidente: l’iniziativa ‘We Build The Wall’ ha la sua benedizione e posso riferirlo ai media”.
Se Bannon canta – Bannon rischia fino a vent’anni di carcere. Gli inquirenti, che stanno indagando su altre figure vicine al presidente, come il suo attuale avvocato Rudolph Giuliani, potrebbero cercare di ottenere informazioni utili alle loro indagini, alleggerendo la sua posizione. Non è chiaro, però, se Bannon sappia cose rilevanti per le inchieste avviate.
Rapporti con i magistrati tesi – Trump ha spesso la tentazione di cavarsi d’impaccio licenziando chi gli dà fastidi. A giugno, cacciò Geoffrey Berman, il procuratore generale del Southern District di New York, quello che indaga su ‘We Build the Wall’ e su Bannon. Il repentino licenziamento aveva qualcosa a che vedere con l’inchiesta, in corso da ottobre?
L’incubo delle dichiarazioni dei redditi – L’indagine su Bannon si sovrappone a quella portava avanti a Manhattan – un altro distretto – sulle dichiarazioni dei redditi del presidente, i cui legali stanno facendo di tutto per ritardare il momento in cui dovranno produrre i documenti finora negati ai cittadini, al Congresso e alla Giustizia. L’obiettivo è ritardarne la consegna a dopo le elezioni. Ma gli incubi di Trump alimentano interrogativi su che cosa mai contengano quelle dichiarazioni.