Carolina Venosi è una giovane romana ed è la mente che si cela dietro la pagina “Rome is more” che conta più di 100.000 like su Facebook e 270.000 followers su Instagram. Scopo di “Rome is more” è raccontare ed esprimere l’essenza di Roma attraverso il dialetto, traducendo le espressioni popolari romanesche in un inglese ‘maccheronico’ accessibile a tutti e divertente.
Come è nata l’idea di “Rome is more”?
L’idea mi è venuta quando, durante un Erasmus all’estero, usavo molte espressioni gergali romanesche e avevo la necessità di tradurle a chi non mi comprendeva. Da lì mi è rimasta questa idea in testa, che poi ho trasformato nella pagina.
Lasciare un posto di lavoro stabile, mettersi in gioco, investire tempo e risorse in un progetto sui social può spaventare. Quando hai capito di volere fare questo passo e come sei riuscita a rendere “Rome is more” un progetto lavorativo di successo?
Lasciare un posto di lavoro stabile e mettersi in gioco non è stato affatto facile per me. Ho aspettato il momento giusto e ho risparmiato per poter essere libera di fare questa scelta, quindi ho deciso di buttarmi in questo progetto al 100%.
“Rome is more” nasce inizialmente come progetto creativo. Si è trasformato nel mio lavoro quando ho visto il successo che aveva avuto la pagina e quando ho ricevuto la proposta per la pubblicazione del libro. Ci sono voluti comunque molti sforzi e sacrifici oltre a una buona dose di costanza e testardaggine!
Un account con moltissimi seguaci, un e-commerce e un libro: il tuo successo è il simbolo dell’enorme potenzialità che possono avere i social. Che pro e contro ci sono nel lavorare con i social? Quanto è importante il rapporto con la tua community digitale?
Fra i pro di lavorare con i social c’è sicuramente il fatto che lo possiamo fare tutti: chiunque può esprimersi attraverso i social media. Questo fattore però fa anche parte dei contro perché servirebbe un po’ di moderazione nei contenuti.
Il maggior punto di forza del lavorare con i social è la meritocrazia e la democraticità del mezzo: la qualità del lavoro è misurata dalle persone che lo seguono e che interagiscono con quel contenuto. Si esce dalla dinamica italiana delle conoscenze e ciò che risulta è solo la bravura nel creare un messaggio.
Fra i contro ci sono delle dinamiche legate alle interazioni negative con i cosiddetti “haters” cioè gli odiatori del web che insultano a piacimento.
Il rapporto con la community è fondamentale e per “Rome is more” è stata la vera chiave del successo. Roma infatti è una città che unisce molto chi ci ha vissuto e chi ci è nato. Io, da romana e amante della mia città, mi trovo benissimo a dialogare con i follower e i membri della community digitale. Cerco sempre di rispondere a tutti anche se non è facile: il rapporto con le persone è la cosa più importante da coltivare quando si ha un progetto online.
L’ironia è sempre stata il punto di forza del progetto “Rome is more”. Come hai riadattato questo tuo stile comunicativo durante l’emergenza Covid-19?
La scelta di riadattare in chiave romana il tema del coronavirus nasce inizialmente a scopo di divulgazione e per creare sensibilità al tema, infatti il primo post pubblicato riguarda le buone abitudini da avere in questo momento storico (lavarsi le mani, indossare la mascherina, etc.).
Successivamente è nata l’idea di far sorridere le persone in questo momento così difficile, riadattando i modi di dire romaneschi alle nuove scene di quotidianità vissute durante il lockdown e la fase 2.
Tra i post più condivisi della pagina ci sono espressioni come “avoja”, “bella pe’ te”, “anvedi (ahò)”, “na cifra”, “daje”, “famo a capisse”. Qual è il modo di dire cui sei più affezionata e perché?
E’ sicuramente “se lallero” ed è anche il primo che compare nel libro. E’ stato uno dei primi post pubblicati, quello che ha fatto salire di più la pagina in termine di like e riscontri del pubblico. Questa espressione mi è molto cara perché la diceva sempre mio nonno, un romano doc della Garbatella.
La redazione Meet Us, composta da Paolo Aruffo, Eleonora Cantini, Manuel Di Stefano, Elena Milano.