Chi s’era illuso che il coronavirus fosse un alleato dell’ambiente, perché chiusure e isolamento riducevano drasticamente le emissioni e limitavano i consumi, senta che cosa dice il ministro dell’Energia dell’Alberta – una provincia canadese -: Sonya Savage sostiene che l’epidemia è un’alleata dei petrolieri e delle loro pipeline e dice che questo è “il momento giusto” per costruire un oleodotto, perché le misure imposte per l’emergenza coronavirus limitano gli assembramenti e, quindi, le proteste.
In Canada, la pandemia ha già fatto 6.555 vittime e 87.000 contagiati – dati della Johns Hopkins University -. In un Paese di 35 milioni di abitanti su una superficie sconfinata – è grande quanto tutta l’Europa -, gli epidemiologi prevedono che il bilancio definitivo si situerà tra gli 11 e i 22 mila morti, mentre i contagiati potrebbero raggiungere i due milioni. Ad aprile, l’economia canadese aveva già perso due milioni di posti di lavoro e il tasso di disoccupazione era salito al 13%:
In questo contesto, secondo la Savage, esponente del Partito conservatore che governa l’Alberta, c’è soprattutto fame di lavoro: il canadese qualunque non sarebbe, quindi, più disposto “a tollerare proteste ideologiche”, come lei definisce quelle di ambientalisti e discendenti dei nativi contro l’oleodotto Trans Mountain, che viaggia verso ovest da Edmonton nell’Alberta fino a Burnaby, nella Columbia britannica.
La costruzione è iniziata a dicembre: si tratta di ammodernare ed espandere un impianto già esistente, vecchio di 67 anni, triplicandone la portata da 300 mila a 890 mila barili al giorno. “Costruiamolo”, dice la Savage, in un podcast – certo non neutrale – della Associazione canadese degli Oilwell Drilling Contractors. I liberali, al potere a Ottawa e nella Columbia britannica, insorgono, come alcuni esponenti delle First Nations i cui territori sono attraversati dalla pipeline. Le preoccupazioni degli ambientalisti vanno dalle perdite di petrolio lungo il percorso all’impatto sul cambiamento climatico alle minacce per le popolazioni di orche lungo le coste del Pacifico.
Il Trans Mountain è diventato un soggetto politico delicato per il premier canadese Justin Trudeau, che considera il progetto di interesse nazionale, ma che ha finora dovuto fare fronte a numerosi ostacoli legali e giudiziari.
All’inizio dell’anno, i capi ereditari della tribù Wet’sewet’en avevano già bloccato per settimane una grossa fetta della British Columbia: i nativi, sostenuti da migliaia di attivisti, contestavano la costruzione di un altro oleodotto, la Coastal GasLink pipeline (Cgl). Gli indigeni rappresentano circa il 5% della popolazione e sono la fascia sociale più toccata da povertà e discriminazioni.
Le proteste canadesi si apparentano, senza esservi collegate in modo funzionale, a quella dei Sioux nel Dakota, a sud della frontiera tra Canada e Stati Uniti, contro la Keystone XL, criticatissimo oleodotto Nord – Sud, che Barack Obama aveva bocciato, ma che Donald Trump ha ri-autorizzato e che le tribù della regione hanno inutilmente tentato di bloccare.
In questo momento, Trudeau è soprattutto preoccupato degli effetti economici e sociali dell’epidemia e tiene meno alta la guardia sui valori dell’ambiente e le tradizioni dei nativi, che pure sono due suoi ‘cavalli di battaglia’. Il premier, il cui governo ha varato un piano straordinario d’aiuti per 69 miliardi di dollari, dice: “Nessuno dovrebbe trovarsi a scegliere fra il restare a casa con sintomi da coronavirus e il potersi pagare l’affitto o fare la spesa”.
Il Paese è bruscamente passato dal ritenere un’emergenza l’arrivo da Londra della coppia Meghan ed Harry al dovere fronteggiare un’apocalissi, con la frontiera con gli Strati Uniti chiusa almeno fino al 21 giugno e sintomi di sgretolamento del tessuto sociale. L’epidemia avrebbe ad esempio contribuito a sconvolgere la mente del dentista di 51 anni che, ad aprile, compì la peggiore strage nella storia canadese: Gabriel Wortman uccise 23 persone prima di essere a sua volta abbattuto. Subito dopo, Trudeau vietò la vendita di 1.500 modelli di armi d’assalto.
Ottawa rischia pure di fare il vaso di coccio nelle dispute tra Washington e Pechino: la Cina chiede l’immediata liberazione di Meng Wanzhou, la boss della finanza di Huawei, arrestata nel dicembre del 2018 all’aeroporto di Vancouver, dov’era in transito, su richiesta delle autorità statunitensi, che le contestano violazioni delle sanzioni all’Iran. Una decisione se estradarla o meno è imminente.