I dati della Johns Hopkins University, una ‘mappa’ della pandemia a livello planetario, dicono che l’Afghanistan ha finora avuto 9.216 contagi e 205 morti: cifre che, se fossero vere, non sarebbero molto preoccupanti, in un Paese di 31 milioni e mezzo di abitanti. Ma i numeri ufficiali rischiano, però, d’essere fortemente sottostimati, mentre la sicurezza nel Paese resta precaria: uno stillicidio d’attacchi e di attentati, frutto dell’azione degli insorti talebani e dei terroristi di al Qaida, cui si sono ormai sommati gli jihadisti del sedicente Stato islamico, l’Isis, in rotta dall’Iraq e dalla Siria.
La struttura sanitaria afghana non pare in grado di contrastare il coronavirus. Ne è testimone l’ex ministro della Sanità, Mohammad Haqmal, 43 anni, indotto a chiedere asilo alla Gran Bretagna, che glielo ha accordato, dopo essere stato rapito e torturato dai talebani.
La successione e la virulenza degli episodi terroristici e/o bellici contrasta con il rasserenamento della situazione politica, dopo che i presidenti rivali, Ashraf Ghani, rieletto, ma in un voto la cui regolarità è contestata, e Abdullah Abdullah, autoproclamato, hanno fatto un accordo per superare la loro disputa, creare un Alto Consiglio di Riconciliazione nazionale e formare un governo. L’intesa prevede che Ghani sia presidente, ma che Abdullah abbia la metà dei ministri e sia responsabile di ristabilire la pace nel Paese.
L’inviato degli Usa in Afghanista, l’ambasciatore Zalmay Khalilzad è arrivato a Kabul, subito dopo l’accordo fra i due: segno che Washington potrebbe ritornare sulla decisione di cancellare aiuti all’Afghanistan per un miliardo di dollari, presa per il protrarsi della diatriba tra Ghani e Abdullah, che comprometteva lo sganciamento degli americani dall’Afghanistan.
I talebani, che a fine febbraio hanno firmato un’intesa con Washington, dicono di volerla rispettare: Haibatullah Akhundzada, il loro capo, chiede agli americani di “non sprecare” l’opportunità di porre fine alla guerra più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti. L’intesa prevede che gli Usa e i loro alleati ritirino tutte le truppe entro il 2021, in cambio dell’impegno dei talebani a cessare di attaccare città e forze regolari e/o straniere.
Anche l’Italia, come gli altri Paesi Nato che forniscono contingenti alla forza multinazionale, vede con favore progressi verso l’attuazione di quello che la Farnesina definisce “un progetto comune e inclusivo per un Afghanistan stabile, pacifico, prospero”. Il perfezionamento dell’intesa tra talebani e Usa con un’intesa tra talebani e governo di Kabul potrebbe accelerare i tempi del ritiro dal Paese del contingente internazionale ivi stazionato ormai da quasi 19 anni.
Ma, nelle more dell’avvio di negoziati tra i talebani e il governo afghano, che non c’era, gli attentati nella capitale e gli attacchi nelle province sono continuati e a maggio si sono anzi intensificati, fino a culminare in una carneficina in una maternità di Kabul. A quel punto, il presidente Ghani dispose che le truppe regolari riprendessero l’offensiva contro gli insorti, che hanno però negato di esserne gli autori. Lo stesso Khalilzad vi vede l’opera dell’Isis.
Gli episodi recenti più gravi sono gli attacchi a una moschea a Khelalzai, a nord di Kabul, e a fedeli che tornavano a casa dopo la preghiera nell’Est del Paese: uomini armati hanno aperto il fuoco, causando in tutto almeno 14 vittime – le azioni non sono state rivendicate e i talebani ne hanno esplicitamente negato la paternità -.
Lunedì, almeno otto soldati afghani erano stati uccisi in un attacco dei talebani a Kunduz, nel Nord dell’Afghanistan, una città in passato caduta già due volte in mano agli insorti. I talebani hanno contemporaneamente assalito diverse postazioni dei militari regolari e sono stati respinti solo all’alba, con il sostegno dell’aeronautica, dopo avere subito –dice ministero della Difesa afghano – “gravi perdite”. Negli scontri sono anche stati uccisi tre civili e decine sono rimasti feriti.
Talebani ed esercito si sono scontrati ripetutamente nelle aree rurali negli ultimi mesi, ma non accadeva da tempo che i ribelli tentassero di prendere una città come Kunduz.