Elezioni rinviate, elezioni in forse, presidenti, premier, parlamenti prorogati: la pandemia tiene in ostaggio le nostre democrazie e, in qualche caso, le espone alla tentazione dei “pieni poteri” dati all’“uomo forte” di turno, con il mandato di sconfiggere il coronavirus (ma senza l’impegno di spogliarsene a data certa). Accade nel cuore dell’Europa, in Ungheria, non in qualche sperduta landa dimentica dei diritti fondamentali dell’Asia centrale o del Medio Oriente o dell’Africa.
La lista delle elezioni rinviate è già lunga. Sono saltate praticamente tutte le primarie democratiche in programma negli Usa ad aprile: s’è votato solo nel Wisconsin, perché l’ha ordinato un giudice, e in Ohio, rigorosamente per posta. E, nel frattempo, le primarie hanno perso ogni significato, perché il ritiro dalla corsa del senatore Bernie Sanders, impossibilitato come tutti a fare campagna, ha automaticamente promosso Joe Biden al rango di candidato democratico alla Casa Bianca.
In Italia, il governo ha rinviato le elezioni regionali e comunali a causa dell’emergenza coronavirus: si doveva votare a fine maggio, non si andrà alle urne prima dell’autunno Sono saltate le municipali in Francia – il secondo turno: il primo s’era fatto a marzo fra ansie e tensioni – e nel Regno Unito; in Spagna, le elezioni nelle comunità autonome di Galizia e Paesi Baschi; in Serbia e in Macedonia, le politiche; in Russia, il referendum sulla riforma costituzionale; in Bolivia, le presidenziali; in Cile, il referendum sulla riforma costituzionale; nella Repubblica Dominicana le politiche; e così pure nello Sri Lanka e in Etiopia; e l’elenco non è esaustivo. Invece, le legislative in Corea del Sud si sono svolte: lì, il coronavirus, che pareva avviato a fare disastri, è stato a conti fatto contenuto.
Negli Stati Uniti, le elezioni presidenziali, il 3 novembre, non sono ancora considerate a rischio. Ma l’andamento dell’epidemia è al momento imprevedibile, le curve del contagio sono basate su ipotesi e previsioni tutte da verificare: secondo i dati della Johns Hopkins University, i morti da coronavirus negli Usa superano gli 82 mila, quasi un terzo del totale mondiale; i contagiati s’avvicinano a 1.400.00, un terzo di quelli recensiti nel Mondo.
E la California è già corsa ai ripari: il governatore Gavin Newsom ha disposto che tutti i cittadini dello Stato, il più popoloso dell’Unione, siano messi in condizione di votare per posta, se non ci saranno le condizioni di sicurezza per andare alle urne ai seggi. Una prova generale è già stata fatta questo martedì 12 maggio, con una suppletiva per la Camera nel 25° collegio del Golden State.
La mossa di Newsom non è piaciuta ai repubblicani e, in particolare, al presidente Donald Trump: temono che il voto per posta favorisca i democratici, che hanno un elettorato più motivato e più organizzato. Ma, a conti fatti, Mike Garcia, un ex pilota, repubblicano, ha battuto Christy Smith, una deputata statale, democratica, e rappresenterà alla Camera, fino a gennaio 2021, il 25° distretto del Golden State. Il seggio tornerà in palio il 3 novembre, quando sarà eletto il presidente Usa e saranno rinnovati tutta la Camera e un terzo del Senato.
Usa: il precedente della spagnola
Negli Stati Uniti, è già successo di votare nel mezzo di un’epidemia – e per di più di una guerra -: accadde nel 1918, quando il voto di midterm il 5 novembre, quasi coincidente con la fine in Europa della Prima Guerra Mondiale, si svolse nel pieno della spagnola, l’influenza che uccise, negli Usa, 675 mila persone e che – si stima – infettò un terzo della popolazione mondiale, facendo 50 milioni di vittime.
La spagnola fu la prima, e la più letale, delle pandemie influenzali del XX Secolo: scoppiò nel 1918 e durò fino al 1920. Una delle sue prime vittime newyorchesi fu Frederick Trump, il nonno dell’attuale presidente. Immigrato dalla Germania, imprenditore dai trascorsi avventurosi, Frederick, 49 anni, si sentì improvvisamente male per strada il 29 maggio: febbre altissima, sudorazione copiosa, il giorno dopo era morto. Gli diagnosticarono subito una polmonite, capirono solo dopo che era la spagnola.
Con l’epidemia di coronavirus in corso, a Washington c’è chi ha già tirato fuori i piani d’emergenza studiati allora per aggiornarli. Il presidente Trump e la sua Amministrazione mostrano ottimismo e incoraggiano gli Stati a ridurre le misure di cautela ed a ‘riaprire’; le autorità scientifiche e sanitarie avvertono, invece, che l’epidemia, che avrà presto fatto oltre 90 mila vittime e un milione e mezzo di contagiati, non è superata e potrebbero riprendere vigore, come sta già facendo negli Stati rurali, finora relativamente risparmiati.
In questo contesto, nessuno, a parte Trump che ha la platea televisiva dei briefing dalla Casa Bianca sul coronavirus, fa più campagna elettorale: dal 17 marzo, comizi e primarie praticamente bloccati; eventi e raccolte fondi solo online, con Biden che s’è creato uno studio televisivo nella sua cantina e di lì rilascia interviste e fa ‘incontri’.
I sondaggi, relativamente attendibili in questo momento e spesso contraddittori, danno Trump dietro Biden di sei punti, a livello nazionale – conta poco: nel 2016, Trump battè Hillary Clinton, nonostante tre milioni di voti popolari in meno, frutto in larga parte delle ‘valanghe’ democratiche nello Stato di New York e in California -. La popolarità del presidente è altalenante: va su o giù, secondo le curve dei contagi e le ansie per l’economia, con 33 milioni di disoccupati in più tra metà marzo e metà maggio.
Italia: aspettando l’autunno
In Italia, rinviate tutte le consultazioni elettorali, la finestra elettorale per le Regioni è ora compresa tra settembre e novembre, quella per i Comuni arriva fino al 15 dicembre. Alcuni amministratori, sulle prime, hanno protestato: quattro dei sette governatori in scadenza di mandato – Veneto, Liguria, Campania, Puglia, aree geografiche, politiche e d’impatto del contagio molto diverse – hanno scritto al governo per chiedere di votare in estate.
Questa la posizione espressa da Luca Zaia, Giovanni Toti, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano: “Ribadiamo la necessità di garantire agli elettori l’inalienabile diritto a esprimersi nei tempi più rapidi possibili, compatibilmente con l’andamento dell’epidemia. Pertanto, ritenendo, per quanto è possibile prevedere oggi, che l’estate sia la stagione più sicura dal punto di vista epidemiologico, ribadiamo la necessità di allargare la finestra di voto, come da noi richiesto, al mese di luglio”.
Affermazioni in parte basate sulla speranza, più che sulla certezza, di una minore virulenza del virus nella stagione calda. E richieste poi stemperatesi con l’aggravarsi del contesto e l’incertezza, che finora permane, su tempi e modi delle ‘riaperture’ e, soprattutto, sull’impatto che esse avranno.
Caos in Polonia e cautele altrove
La Polonia, che con l’Ungheria è una delle ‘malate d’Europa’, per il rispetto dei diritti fondamentali e la separazione dei poteri, è piombata in un caos istituzionale: dopo essersi rifiutato di proclamare lo stato di calamità naturale causa pandemia e avere confermato per le elezioni presidenziali la data del 10 maggio, il governo le ha rinviate ‘sine die’ all’ultimo momento.
Adesso, la Commissione nazionale elettorale sostiene che il presidente della Camera deve decidere entro il 24 maggio una nuova data, mentre costituzionalisti d’opposizione come Ryszard Piotrowski gridano alla violazione della Costituzione e sostengono che “l’addio alla democrazia in Polonia è entrato nella fase finale”, denunciando “il dilagare dell’illegalità”.
L’unico modo costituzionalmente corretto per uscirne è proclamare lo stato di calamità nazionale, nel qual caso la Costituzione permette di organizzare le nuove presidenziali solo 90 giorni dopo la revoca dell’emergenza.
Altri Paesi dove le elezioni sono state rinviate mostrano molta prudenza nel fissare le nuove date, con l’eccezione francese: il Consiglio dei Ministri ipotizza, infatti, a giugno il secondo turno delle municipali, ‘interrotte’ a marzo – il primo turno s’era fatto, fra molte perplessità -, ma la decisione arriverà entro maggio. La Gran Bretagna ha posticipato di un anno le elezioni locali del 7 maggio – si deve votare anche a Londra -. La Russia non ha ancora annunciato la nuova data del referendum sulla Costituzione, il Cile lo ha rinviato al 25 ottobre. Altrove ci si limita al ‘data da destinarsi’.
La democrazia può attendere. Se serve salvare vite umane, il prezzo d’una ‘sospensione dei diritti’ può essere pagato senza batter ciglio. Perché (e purchè) le parentesi dell’epidemia (e dell’emergenza) si chiudano in fretta.