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Coronavirus: Paese che vai ‘task force’ che trovi (e che perdi)

Scritto per il Fatto Quotidiano dello 07/05/2020

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C’è chi lascia di sé un eccellente ricordo; c’è chi lascia di stucco, senza parole; e c’è chi lascia perché messo alla porta: storie di scienziati e consulenti, più o meno eccellenti, alle prese – nell’era del coronavirus – con politici che calcolano in termini di voti gli effetti della pandemia, contagi e posti di lavoro perduti. Dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, passando per il Brasile, le ‘task force’ hanno vita grama, se il leader con cui hanno a che fare è un decisionista tendenzialmente negazionista. Va meglio quando il leader si confronta con gli esperti senza pretendere di saperne più di loro.

Capita pure che lo scontro sia politico. In Brasile, il presidente omofobo e reazionario Jair Messias Bolsonaro, che ha fretta di riaprire il Paese ed è insofferente del lockdown, ha cacciato il ministro della Sanità Luis Henrique Mandetta, favorevole al distanziamento sociale anti-contagio. Risultato: il nuovo ministro Nelson Teich deve ammettere che la situazione nel Paese “sta peggiorando” e che “la curva dei contagi continua a crescere”, soprattutto a San Paolo, Rio de Janeiro, Manaus e Recife.

Antonella Mei-Pochtler, la manager italiana che ha gestito la strategia dell’Austria anti-coronavirus, sostiene, in un’intervista al Financial Times, che “l’arroganza” ha accecato i leader dei grandi Paesi di fronte alla pandemia, mentre lei aveva a che fare con il leader giovane e ambizioso, intelligente e spregiudicato, di un piccolo Paese, Sebastian Kurz, ‘enfant prodige’ della politica europea, cancelliere a 31 anni – ora ne ha 33 -, conservatore, ma capace di scrollarsi di dosso i sovranisti.

Per la Mei-Pochtler, la chiave dei buoni risultati austriaci nel contenere l’epidemia è stata la rapidità con cui il Paese è stato chiuso: il governo ha deciso dopo avere incaricato una piccola ‘task force’ nella cancelleria federale di consultare specialisti e scienziati di tutto il Mondo, tra fine febbraio e inizio marzo. A oggi, l’Austria, 8 milioni e mezzo di abitanti, registra meno di 16 mila contagi e circa 600 vittime – come se in Italia ce ne fossero state 4500, invece di oltre 29 mila.

Negli Stati Uniti, Donald Trump ha trovato modo di liberarsi dei suoi ‘scienziati scomodi’ senza ‘licenziarli’, che sarebbe parso brutto. Mike Pence, ‘zar in penombra’ della lotta al coronavirus, costantemente eclissato dal presidente che l’ha messo lì come parafulmine, se non capro espiatorio, annuncia la chiusura, tra fine maggio e inizio giugno, della task force della Casa Bianca, di cui è responsabile.

Trump, in Arizona, prima sortita dopo quasi due mesi di confinamento alla Casa Bianca, conferma che la task force sarà sciolta e forse sostituita da un gruppo diverso, ma assicura che i due massimi esperti sanitari, Anthony Fauci e Deborah Birx, continueranno a essere consultati. E più tardi twitta che la task force “ha fatto un lavoro fantastico” e “continuerà a lavorare indefinitamente avendo come focus la sicurezza e la riapertura del nostro Paese” ma anche “i vaccini e le terapie”: “Potremo aggiungere o sottrarre persone, ove opportuno”. Perché adesso la priorità è aprire e non chiudere e, se dai retta ai medici, tieni tutto chiuso “cinque anni”.

Un gesto di Trump dice più di mille parole del suo rapporto con Fauci, il ‘virologo-in-capo’, che l’ha spesso contraddetto nei briefing e sui media: il magnate visita una fabbrica di mascherine e non indossa la mascherina, ignorando le linee guida dell’Amministrazione e pure le norme dell’azienda, ricordate da un cartello “Per favore indossate sempre la vostra maschera”. Fauci, invece, dice che, fra la gente, bisogna sempre portarla.

La sfida del magnate, che disattende le sue stesse indicazioni e conferma così la sua idiosincrasia per la mascherina, è l’immagine di una giornata in cui i decessi da coronavirus negli Usa vanno verso i 72 mila – 2.333 martedì, più del doppio del giorno prima – e i contagi superano 1.210.000, secondo i dati della Johns Hopkins University.

Se la dabbenaggine del politico, travestita magari da presunzione, lascia spesso l’esperto di stucco, capita pure il contrario. Il ministro della Sanità britannico Matt Hancock è rimasto “senza parole” per il comportamento del professor Neil Ferguson, l’uomo del lockdown nel Regno Unito, dimessosi da consulente del governo per avere incontrato due volte l’amante – una donna sposata -, violando le consegne da lui stesso date alla popolazione. La polizia indaga sulla vicenda, ma paiono escluse conseguenze penali per Ferguson, che ha già ammesso di avere fatto “un errore di giudizio” e di avere preso “la decisione sbagliata”.

Nonostante la brutta figura del luminare dell’Imperial College di Londra, la Gran Bretagna gli resta in qualche misura debitrice: fu lui a convincere il premier Boris Johnson ad abbandonare la ricerca dell’immunità di gregge e a convincerlo a convertirsi al lockdown, salvando, probabilmente, decine di migliaia di vite e forse più.

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gphttps://giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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