Il debito pubblico salirà al 155,7% del Pil nel 2020, attestandosi a un livello che “a partire dall’Unità d’Italia è stato registrato solo negli anni immediatamente successivi alla fine della Grande Guerra”. Quanto al deficit di bilancio “si attesterebbe nel 2020 al 10,4% del Pil, un livello mai più toccato dagli anni che hanno preceduto la firma del Trattato di Maastricht” nel 1992. E l’impatto dell’emergenza sul lavoro sarà pesantissimo.
E’ quanto si ricava dall’audizione sul Def del direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat Roberto Monducci, fatta martedì 28 aprile di fronte alle commissioni congiunte Bilancio di Camera e Senato.
Il blocco e le ripercussioni specie sulle Pmi
L’audizione per buona parte si è concentrata sugli effetti del lockdown nel mondo del lavoro. “Le attività formalmente sospese toccherebbero 2,1 milioni di imprese, poco meno del 48% del totale, con un impiego di 7,1 milioni di addetti (di cui 4,8 milioni dipendenti)”. Sulla base dei dati riferiti al 2017 “tali imprese generano 1.334 miliardi di euro di fatturato (il 41,4% del livello complessivo)”.
Il nuovo Dpcm sulla fase 2, che entrerà in vigore il 4 maggio, prevede una riapertura graduale di queste attività, al fine di continuare a contenere il contagio del coronavirus. Le modalità previste dal decreto hanno immediatamente suscitato polemiche tra gli imprenditori. “È una confusione totale” – ci racconta Francesco Ruiu, titolare del cocktail bar XO di Viterbo –: ci sono errori negli aspetti tecnici, alcune misure descritte dal decreto sono lontane dalla realtà”.
Il problema più grande in vista delle riaperture è la mancanza di liquidità. La celerità e l’assenza di burocrazia che il premier Giuseppe Conte aveva promesso con il decreto dell’8 aprile sono state solo parole. “L’unica cosa che è stata garantita in tempi brevi è stata la cassa integrazione per dipendenti. Le misure previste invece per il sostegno alla liquidità delle imprese stanno partendo solo in questi giorni, quasi due mesi dopo: 40-50 giorni per un’azienda vogliono dire morire”.
Infatti la Federazione Italiana Pubblici Esercizi stima la chiusura di 50 mila attività tra bar, ristoranti e locali d’intrattenimento. Ruiu e altre decine di migliaia di imprenditori del mondo Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café) e dei locali del pubblico spettacolo hanno aderito alla manifestazione nazionale ‘Risorgiamo Italia’ indetta dal Movimento Imprese Ospitalità.
La sera del 28 aprile, in segno di protesta, hanno alzato le saracinesche e acceso luci dei propri locali, per poi consegnarne le chiavi ai rispettivi sindaci il mattino seguente. La speranza è di trovare un dialogo con il governo: “Il nostro gesto simbolico vuole lanciare un messaggio: devono parlare con noi, non con chi non conosce le realtà e le dinamiche vere di questo settore”, conclude Ruiu.
Da Dior a trentamila mascherine a settimana: l’azienda che cambia
Stile e Ricamo, azienda di Pesaro operante nel settore dell’alta moda, forniva ricami per Dior, Moschino e Alberta Ferretti. Dopo 32 anni di attività, i suoi quaranta dipendenti si sono dati alla produzione di mascherine certificate. “Grazie ai nostri macchinari produciamo circa trentamila mascherine a settimane – ci racconta Francesco Occhialini, proprietario dell’azienda -, perfettamente in regola, che seguono le direttive dell’articolo 6 del decreto del 17 marzo. Quando abbiamo iniziato a produrle nel mercato si vendevano a cinque, sei euro l’una: un’esagerazione. Noi le vendiamo al prezzo simbolico di un euro”.
Al di là della produzione di mascherine, l’azienda è ferma e gran parte delle commesse sono state stoppate o annullate: “La situazione è drammatica soprattutto per chi come noi commercia molto con l’estero. C’è un’alta possibilità di perdere clienti acquisiti o potenziali perché le realtà sono ferme”.
Lavorare ai tempi del Covid-19: le difficoltà di chi resta aperto
Con i centri commerciali chiusi, i piccoli negozi di alimentari, rimasti aperti durante tutta l’emergenza coronavirus, si sono dovuti riorganizzare in tempi brevissimi per fronteggiare una situazione di lavoro completamente nuova e di proporzioni inattese. Tutte le abitudini, ormai consolidate, sono state spazzate via in un attimo dal virus: non c’è più il contatto diretto con i clienti, bisogna mantenere le distanze, indossare le mascherine protettive e saper gestire una lunga fila di persone.
Per Mario Di Giannantonio, fornaio di un panificio a conduzione familiare di Roma, diverse sono le problematiche emerse: la sanificazione del locale, i pannelli in plexiglass, i guanti e le mascherine monouso per lui e i suoi cinque dipendenti devono essere acquistate completamente a loro spese, i ritmi di lavoro si sono intensificati e soddisfare le continue richieste dei clienti risulta sempre più difficile. “Si fa una fatica enorme a chiedere alle persone di rispettare anche solo la distanza di sicurezza, molte di loro non indossano la mascherina, mettendo a rischio la loro e la nostra salute”, ci racconta Mario Di Giannantonio. “Abbiamo bisogno di maggiori tutele, nonostante tutto, noi continuiamo a lavorare cercando di regalare ai nostri clienti un po’ di normalità e di speranza in un momento così complicato”.
La redazione FactCheckers, composta da Jacopo Cascone, Claudia Di Giannantonio, Chiara Jannella e Giulia Massetti