La pandemia di coronavirus colpisce tutti i leader democratici, in senso figurato e, almeno nel caso di Boris Johnson, anche in senso proprio; e lascia invece indenni i leader autoritari, quelli che poco si occupano degli umori della gente. Pareva un assioma della geo-politica all’epoca del coronavirus, fin quando non l’ha messo in dubbio l’uomo forte per antonomasia del XXI Secolo, o almeno di questo suo primo ventennio: il presidente russo Vladimir Putin.
Passato indenne, anzi man mano rafforzatosi, attraverso il crollo dell’Urss e la crisi della Russia, tracolli economici e smacchi diplomatici – l’espulsione dal G8 -, guerre intestine – la Cecenia – ed esterne – Ossezia ed Abkhazia -, annessioni (della Crimea) e sanzioni (di Usa ed Ue), Putin ha forse mal calcolato l’impatto del contagio e si trova ora a dovere gestire la sfida forse più difficile da quando arrivò al potere vent’anni fa.
Come Donald Trump, Putin ha inizialmente sottovalutato le conseguenze della pandemia: i contagi sono oltre 50 mila, i morti ‘solo’ qualche centinaia, ma l’attendibilità delle cifre è da più parti contestata. E la popolarità del presidente è in calo: a marzo, stando ai dati dell’istituto demoscopico indipendente Levada, l’indice di gradimento di Putin era al 63%, molto alto per un leader normale – Trump non ha mai superato il 50%, da quando è alla Casa Bianca -, ma vicino al minimo storico per lo ‘zar’; e gli effetti della crisi economica dovevano ancora farsi sentire, con stime, per il 2020, d’una caduta del Pil tra il 5 e l’11% (nello scenario peggiore).
Che per Putin non sia un buon momento, lo si capisce dal fatto che il suo portavoce Dmitry Peskov è costretto a smentire che il presidente stia affrontando la pandemia in un bunker – Peskov, certo, non lo direbbe neanche se fosse vero -. Il dubbio nasce dal fatto che, con il lockdown, tutto o quasi si svolge ‘a remoto’: il leader dal vivo si vede sempre meno, per non dire punto, come del resto accade a molti altri presidenti o premier occidentali – Trump s’è inventato i briefing quotidiani sull’andamento dell’epidemia, che sono però diventati un boomerang -.
Putin lavora a distanza dall’inizio di aprile, una settimana dopo avere visitato il principale ospedale russo per la lotta contro il coronavirus, a Mosca, il cui primario, poco dopo, è risultato positivo. C’era chi temeva che Putin si fosse anch’egli ammalato. “Ci sono sempre un sacco di voci e il più delle volte non hanno nulla a che fare con la realtà”, ha risposto Peskov al settimanale Argumenty i Fakty, che gli chiedeva conto delle voci su Putin rintanato “in un bunker”.
“Il presidente è nella residenza di Novo-Ogaryovo, fuori Mosca, dove vive, lavora e conduce tutti gli impegni di lavoro, principalmente in videoconferenza”, assicura Peskov. E’ una super dacia, immersa nel verde, ed è dunque assai meglio di un lugubre bunker: ma il concetto è lo stesso, isolamento e ‘tele-lavoro’. Tutti i ministri e gli alti funzionari che incontra faccia a faccia devono sottoporsi ai test per il coronavirus: è “impossibile – assicura Peskov – incontrare il presidente senza controlli adeguati”.
Bunker o dacia, la salute fisica di Putin sembra essere blindata. Quella politica meno, in questa fase.
Birra per tutti!, quando lo zar diventa zimbello
Da quando lo zar ha decretato un mese di vacanza pagato – dai datori di lavoro -, per contrastare e rallentare la diffusione del coronavirus in Russia, c’è una battuta che corre di bocca in bocca (e d’account in account), racconta Mattia Bernardo Bagnoli, corrispondente dell’ANSA da Mosca: “Putin entra in un bar e dice: ‘Birra per tutti, offre la casa!'”. Che si rida del capo, può pure andar bene; ma non che il capo diventi uno zimbello.
Il provvedimento segnò l’inizio del lockdown vero e proprio, in netto ritardo sull’Europa e anche sugli Stati Uniti. I contagi sono però cresciuti impetuosi e il morso della crisi, anche economica, stringe il Paese, che sino a poco tempo fa pareva quasi immune al virus.
Guardiamo agli ultimi dati disponibili: martedì scorso, 28 aprile, le autorità sanitarie annunciavano 6.411 nuovi casi di coronavirus: il numero di contagi giornaliero più alto finora registrato in Russia, dove le persone risultate positive dall’inizio dell’epidemia sono complessivamente oltre 100 mila, cioè più che in Cina e in Iran, almeno stando ai dati ufficiali. Le vittime sono invece ‘solo’ 867, cioè un numero – e un tasso di letalità – relativamente bassi rispetto a quelli registrati in altri Paesi. C’è, però, chi dubita dell’attendibilità delle cifre. Mosca è l’epicentro dell’epidemia; il resto del Paese – tutte le regioni, anche le più remote, sono ormai coinvolte – è indietro di due o tre settimane, rispetto alla capitale.
Putin s’è dunque visto costretto a estendere almeno fino all’11 maggio il periodo di non lavoro imposto per prevenire il dilagare del contagio: la sospensione delle attività non essenziali doveva esaurirsi a fine aprile, ma, di fronte alle cifre, il leader del Cremlino ha dovuto ammettere martedì che “il picco” dell’epidemia “non è ancora stato raggiunto” e che non sarebbe quindi una buona idea allentare ora le misure restrittive.
Il lockdown potrebbe essere gradualmente alleggerito tra un paio di settimane, cioè dal 12 maggio, tenendo conto della situazione epidemiologica regione per regione: ogni governatore potrà adottare misure ad hoc per il territorio che amministra. Una situazione per certi versi paradossalmente simile a quella degli Stati Uniti; solo che là Donald Trump ha già dato il suo ok a un ritorno alla normalità progressivo e spinge in tal senso, pur lasciando i governatori degli Stati liberi di decidere.
In un incontro in tele-conferenza diffuso in diretta dalla tv di Stato russa, Putin ha dunque ordinato al governo di elaborare entro il 5 maggio proposte per uscire gradualmente dal lockdown e fare ripartire il motore dell’economia, messa in ginocchio anche dal crollo del prezzo del petrolio, che riduce le entrate energetiche russe.
In queste settimane numerose attività lavorative sono state ‘congelate’, ma Putin ha decretato che gli stipendi siano comunque pagati: un onere non sempre facile da rispettare per le piccole e medie imprese private. La birra è pagata, ma gli osti potrebbero restarne sprovvisti.
Crisi economica e risvolti politici
E’ nella Russia più profonda che si teme il collasso del sistema. Paralisi da coronavirus e deprezzamento del petrolio sono grossi pericoli per il presidente Putin: una crisi economica potrebbe innescarne una politica e compromettere il suo disegno di restare alla guida del Paese oltre la fine del suo mandato nel 2024, profittando di una riforma costituzionale la cui definitiva approvazione con un referendum popolare è stata rinviata proprio causa epidemia.
Si calcola che saranno almeno 15 milioni i lavoratori direttamente colpiti e potenzialmente a rischio di perdere il posto. Il governo ha un piano per fare fronte alla situazione, ma non ha ancora decretato lo stato di emergenza, che consentirebbe aiuti pubblici straordinari alla popolazione.
Il malcontento, in questo senso, inizia a fare capolino. I residenti di Rostov-sul-Don hanno tenuto un raduno virtuale contro le restrizioni per l’auto-isolamento utilizzando lo strumento ‘Conversazioni’ sulle applicazioni mobili Yandex.Maps e Yandex.Navigator: la gente ha localizzato l’edificio sede del governo regionale e ha scritto messaggi di protesta sui posti di lavoro persi e l’inadeguata assistenza sociale. L’ ‘assalto’ virtuale è piaciuto ed è stato replicato nelle principali città, comprese Mosca e San Pietroburgo.
Il leader dell’opposizione Alexei Navalny ha dato il suo contributo alla protesta, lanciando, sul web, un contropiano per combattere la crisi, con elementi insidiosi per Putin e il Cremlino. Navalny ha infatti calcolato che le riserve accumulate nei fondi sovrani russi – grazie al petrolio – equivalgono a 120 mila rubli per ogni cittadino e si è chiesto “se li useremo per aiutare le persone e le imprese o se le daremo alle aziende statali e agli oligarchi, come abbiamo fatto nel 2009 o nel 2014″, altri due momenti difficili per la Russia, in coincidenza con la crisi finanziaria globale e con le tensioni sull’Ucraina e le conseguenti sanzioni.
Navalny propone di “indennizzare direttamente le persone, come fanno in altri Paesi, dando 20 mila rubli ad ogni adulto e 10 mila ad ogni bambino”, più una serie di prestiti e di agevolazioni fiscali: è un piano all’occidentale, tipo lo ‘stimolo’ degli Usa e i progetti d’intervento dell’Ue e dei singoli Paesi europei, che può fare breccia nell’opinione pubblica. Su Change.org, la sua petizione ha già raccolto decine di migliaia di firme.