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Afghanistan: Ghani / Abdullah, il Paese dei due presidenti

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/03/2020

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Da quando Trump e i talebani hanno fatto la loro intesa, l’Afghanistan non ha pace e vive nel caos (peggio del solito). Adesso, alla vigilia dell’avvio di colloqui tra il governo e gli insorti, il Paese si ritrova con due presidenti, che si insediano contemporaneamente: uno, Ashraf Ghani, proclamato vincitore delle elezioni di settembre; l’altro, Abdullah Abdullah, stufo di essere proclamato sconfitto a ogni elezione, senza forse averne persa nessuna.

Le cerimonie d’insediamento dei presidenti Ghani e di Abdullah, in due ali distinte del palazzo presidenziale, non molto distanti l’una dall’altra e divise solo da una successione di stanze vuote, vengono turbate da esplosioni – almeno due quelle distintamente udite -: l’attacco è rivendicato dal sedicente Stato islamico, l’Isis, attivo nel Paese, dove si contrappone sia al Governo sia ai talebani. Un comunicato su Telegram recita: “I soldati del Califfato hanno preso di mira l’insediamento del tiranno Ghani”. L’Isis sostiene di avere lanciato 10 razzi: si ignora se vi siano state vittime o danni.

I miliziani intendono sabotare sia la presidenza afghana e i negoziati con i talebani, che devono cominciare oggi a Oslo, sia l’intesa fra americani e talebani firmata a Doha il 29 febbraio. Ghani, con un turbante in testa, ha reagito con coraggio alle esplosioni. Non è sceso dal palco e ha detto: “Non ho giubbotto anti-proiettili, ho solo la mia camicia: resterei anche se mi dovessi sacrificare”. Poi, ha giurato fedeltà all’Islam e alla Costituzione, pronunciando la formula rituale.

In realtà, l’attacco dimostra la vulnerabilità del regime, che, nel giro di 14 mesi, non dovrebbe più godere della protezione degli Stati Uniti e dei loro alleati. La decisione di Abdullah di proclamarsi presidente in parallelo all’insediamento di Ghani precipita il Paese in una grave crisi istituzionale.

Vestito all’occidentale, in abito scuro, Abdullah, medico di formazione, fra i capi della Coalizione del Nord, ministro degli Esteri di Hamid Karzai, candidato a tre riprese alla presidenza e sempre battuto, capo del governo di unità nazionale dal 2014, durante tutto il primo mandato di Ghani, s’è auto-investito davanti a centinaia di sostenitori, non accettando il risultato delle urne che denuncia intriso di brogli. Giurando anch’egli fedeltà all’Islam e alla Costituzione, promette di “preservare l’indipendenza, la sovranità nazionale, l’integrità territoriale e gli interessi del popolo afghano”.

I presidenti paralleli sono l’epilogo di un lungo, inutile, ultimo tentativo di ricomporre la frattura fra i due, protrattosi fino alla vigilia dell’imbarazzante ‘doppio insediamento’: le cerimonie sono state fatte slittare, per dare spazio a un tentativo di compromesso in extremis. Ribadendo le sue accuse di “brogli”, Abdullah rifiuta la proposta di Ghani di affidargli la composizione del 40% del nuovo governo, con un posto nel Consiglio di sicurezza nazionale e la presidenza di un Consiglio supremo di pace che dovrebbe gestire i negoziati con i talebani. Abdullah vuole che la formazione del governo non tenga conto delle elezioni di settembre, i cui risultati lui contesta; Ghani non può accettare.

Con Ghali, ci sono i due nuovi vicepresidenti, Amrullah Saleh e Mohammad Sarwar Danish, l’inviato speciale Usa Zalmay Khalilzad, l’incaricato d’affari Usa Ross Wilson, alcuni ambasciatori, il comandante delle forze Nato nel Paese Scott Miller. Ma contano pure le assenze: non ci sono Karzai, il carismatico ex presidente, l’ex leader dei mujaheddin Abd Rab Rassoul Sayyaf e l’ex vice presidente Younus Qanuni. L’Afghanistan entra in una nuova stagione di divisioni e di contrasti.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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