Votare spesso non è un toccasana, quando la stanchezza, l’insicurezza, la delusione, e magari pure la paura del coronavirus, serpeggiano nell’elettorato. E se, tra un’elezione e l’altra, nulla le lenisce e, anzi, i tarli congiunti della corruzione e dell’anti-politica logorano l’opinione pubblica. Ve ne sono esempi tutto intorno a noi: un po’ di tempo fa, nella Grecia del profondo della crisi; adesso, in Spagna e in Israele. Ce n’è abbastanza da fare riflettere sui nostrani ricorrenti appelli ‘Alle urne!, alle urne!’.
Le terze elezioni in Israele in poco più di un anno hanno un vincitore, lo stesso per l’ennesima volta, Benjamin Netanyahu, il cui consenso risulta impermeabile alle inchieste giudiziarie, all’economia che traballa e alle cattive e improduttive frequentazioni internazionali, e uno sconfitto, Benny Gantz che puntava a batterlo. Ma il voto non ha creato nella Knesset una maggioranza stabile e definita. C’è ancora margine per trattative, magari sorprese, forse – è improbabile – un’ennesima chiamata alle urne, osteggiata dal presidente Reuven Rivlin.
A risultati praticamente definitivi, e salvo ricorsi e riconte, il Likud di Netanyahu è il primo partito con 36 seggi e il blocco delle destre coagulato intorno al Likud ne ha 59, due in meno di quelli che servono per avere la maggioranza assoluta (61 su 120 seggi).
Il partito Blu e Bianco di Gantz prende 31 seggi e il blocco delle sinistre che vi fa riferimento ne ha 54, 15 dei quali della Lista araba unita, che risulta il terzo partito. I rimanenti sette seggi sono quelli di Israel Beitenu, il partito di Avigdor Lieberman, il leader emigrato dalla Russia, che si ritrova, dunque, a essere l’ago della bilancia.
Esulta Netanyahu, che pochi mesi or sono pareva dovere uscire di scena. “E’ la più grande vittoria della mia vita”, dice al suo partito e ai suoi elettori. “Gli israeliani ci hanno dato fiducia perché sanno che abbiamo portato loro la migliore decade nella storia di Israele … E’ una grande vittoria per la destra, ma prima di tutto e soprattutto per noi del Likud”.
Si consola Gantz: “Netanyahu non ha ancora una maggioranza … Valuteremo la strada da prendere e rispetteremo la decisione degli elettori”. Gantz è convinto che il suo partito non subirà defezioni, che consentirebbero al Likud di avere la maggioranza, e intende restarne alla guida.
Un dato rilevante è stato l’affluenza (la più alta dal 1999), specie rispetto alle ultime due elezioni: gli israeliani hanno sconfitto sia l’apatia sia la paura dell’infezione da Covid-19 – una dozzina i casi registrati in Israele -. Erano stati predisposti 18 seggi per gli israeliani in quarantena; ed è stata prorogata di due ore l’apertura dei seggi, per dare modo a tutti di votare, viste le code formatesi causa la lentezza delle operazioni per le misure di sicurezza introdotte, fra cui l’uso di disinfettanti.
La crescita della partecipazione, malgrado la psicosi da contagio, si può spiegare con l’accanimento della campagna – sia Netanyahu sia Gantz si sono scambiati fino all’ultimo dichiarazioni al vetriolo, polemiche sul virus comprese – e anche con alcuni fattori socio-demografici. Svariate indagini segnalano, ad esempio, l’aumentato coinvolgimento della minoranza arabo-israeliano, fra l’altro stimolata dalla decisa opposizione al Piano Trump nel suo complesso e per il possibile passaggio d’alcune località alla parte palestinese.
I palestinesi e l’intelligence uniti contro Netanyahu
Scettici i palestinesi, ancora irritati dal lancio a Washington – presenti Donald Trump e Netanyahu, assenti loro e qualsiasi esponente del Mondo arabo – del pomposamente detto ’accordo del Secolo’ sul Medio Oriente. “Noi non ci attendiamo mai cambiamenti nella società israeliana in quanto essa è il frutto del progetto di occupazione sionista teso al continuo rafforzamento della propria identità, a scapito dei diritti dei palestinesi”, ha detto il portavoce di Hamas Fawzi Barhum. “La fisionomia di un nuovo esecutivo israeliano – ha proseguito – non influenzerà in alcun caso la nostra lotta contro la occupazione né intaccherà la volontà di resistenza del popolo palestinese. Restiamo determinati a difendere i nostri diritti di fronte ai progetti di Israele e al piano di Trump, il cui scopo è quello di liquidare la causa palestinese”.
L’ostilità dei palestinesi verso Netanyahu s’attenua a diffidenza nelle fila dell’intelligence israeliana tradizionalmente contraria a fughe in avanti di ogni tipo. Alla vigilia del voto, con iniziativa fuori dal comune, sei ex responsabili della sicurezza israeliana avevano lanciato su YouTube un appello agli israeliani perché non confermassero Netanyahu alla guida del Paese. Tre di loro hanno guidato il Mossad (Efraim Halevy, Shabtay Shavit, Tamir Pardo) e gli altri tre hanno diretto lo Shin Bet, cioè il servizio di sicurezza interno (Amy Ayalon, Carmi Gilon, Yuval Diskin). Netanyahu, sostengono Shavit e Pardo “è oggi una minaccia per la sicurezza nazionale”. Diskin aggiunge che è impensabile che Israele sia guidato da chi, come Netanyahu, “è incriminato per vicende penali e sta per affrontare un processo”. La replica del premier non si è fatta attendere: i suoi detrattori, afferma, sono stati sospinti da rivalità politiche nei suoi confronti.
Le cronache elettorali
“Il ‘Mago’ ha fatto un nuovo miracolo: il Likud torna ad essere il primo partito in Israele”: così Massimo Lomonaco, corrispondente dell’ANSA da Israele, sintetizza il risultato elettorale. E aggiunge: “La partita del voto sembra essere ancora bloccata”, per la mancanza d’una maggioranza, “anche se, innegabilmente, il risultato è un trionfo per Netanyahu, che il 17 marzo dovrà affrontare in tribunale il processo per accuse gravissime di corruzione, frode e abuso di potere. E gli consente d’intavolare da posizioni di forza le trattative con i partiti che ci saranno nei prossimi giorni, mirando il Likud a mettere insieme una maggioranza stabile, magari acquisendo uno o due seggi” da ‘responsabili’ di altre formazioni – una pratica ben nota in Italia -.
Molti prevedono che la formazione di un nuovo governo questa volta vada in porto. A stigmatizzare che cosa sarebbe accaduto, se si fosse dovuti andare a una quarta elezione, era stato il presidente Rivlin che non ha mancato di manifestare, subito dopo il voto, “vergogna” per la caduta di tono dalla campagna appena conclusasi. “Di norma questo dovrebbe essere un giorno lieto – ha scritto Rivlin su Twitter -, ma io non provo alcun senso di festa. Provo solo forte vergogna verso i cittadini di Israele”. “Non ci meritiamo – aveva ammonito – un’altra campagna elettorale altrettanto terribile e sporca come quella conclusasi oggi. Non ci meritiamo un altro periodo di instabilità senza fine. Ci meritiamo un governo che lavori per noi”.
Netanyahu saprà metterlo insieme?, dopo avere sconfitto prima la fronda interna al suo partito e poi i rivali di Blu e Bianco? Ancora una volta, lago della bilancia è Lieberman, che con i suoi pur pochi seggi, può fare inclinare l’ago della bilancia a destra e al centro.
Il quadro politico prossimo venturo è ulteriormente complicato da fattori giudiziari e internazionali, o almeno relativi al conflitto israeliano-palestinese. Fronte giudiziario, il 17 marzo, parte il processo per corruzione, frode e abuso di potere a carico del premier. Fronte conflitto, Netanyahu intende, forte del Piano Trump, annettere rapidamente la parte palestinese della Valle del Giordano e gli insediamenti ebraici in Cisgiordania: il che attizzerebbe nuove tensioni, non sono nei Territori, ma in tutto il Medio Oriente.
Intervistato, a spoglio dei suffragi ultimato, da Aldo Baquis dell’ANSA, il demografo e politologo italo-israeliano Sergio Della Pergola analizza così il risultato elettorale: “Se Netanyahu alla fine ottenesse la maggioranza della Knesset, sarebbe la morte della Prima Repubblica di Israele, così come la conosciamo”. Il rischio è di passare “ad un governo popolare, con il giudiziario sottomesso al legislativo, questo sottomesso all’esecutivo e quest’ultimo sottomesso a sua volta ad un leader. Una piramide, diretta da una persona”. In una situazione di stallo, senza maggioranze definite, ci potranno invece essere scissioni e/o defezioni: “Per Blu e Bianco una scissione potrebbe significare la fine del partito”. Infine una novità importante riguarda il voto arabo, in crescita di partecipazione e di seggi: “Il voto ebraico può aver portato alla lista araba un seggio abbondante”, anche perché una parte dei votanti di sinistra s’è allontanata dal partito Meretz. Per Della Pergola, “E’ positivo, per il Paese, che la popolazione araba si sia recata in massa alle urne: partecipando si fa sentire e, così, acquista maggior peso” nel processo politico e democratico.