Più facile finire condannati sui media che in un’aula di tribunale: vale anche per Harvey Weinstein, il colpevole dei colpevoli, lo stupratore per cui è nato un movimento contro, #MeToo. Dopo di lui, decine di personaggi dello ‘show bizz’ sono stati accusati sui media e trattati dai media come colpevoli: carriere – giustamente? – finite, in attesa dei verdetti dei giudici se mai ci saranno.
Un tribunale di New York ha giudicato l’ex produttore colpevole di due dei cinque capi d’accusa per cui era processato, tutti stupri e molestie, ma lo ha assolto per le tipologie di reato più gravi.
L’entità della condanna sarà definita in un secondo tempo, ma, in questo processo, Weinstein, che può ora essere legalmente definito “uno stupratore”, non rischia più l’ergastolo, ma ‘solo’ una pena tra i cinque e i 25 anni – dovrà attendere la sentenza in carcere -. La difesa ha annunciato appello.
Il percorso giudiziario dell’ex boss della Miramax non si chiude però qui: dovrà rispondere di stupro e molestie anche in un tribunale di Los Angeles.
Sei donne hanno testimoniato in aula contro l’ex produttore, ma il caso della procura era costruito sulle accuse di solo due di esse, l’ex assistente Miriam Hailey e l’attrice Jessica Mann. Le altre dovevano servire di supporto alle tesi accusatorie. Un artificio già utilizzato contro Bill Cosby, che se l’era cavata in un primo processo con accuse analoghe ed era poi stato condannato in un secondo.
Weinstein, 67 anni, aveva fondato col fratello Bob la Miramax ed ha prodotto film di successo e pure da Oscar, come Shakespeare in love e Pulp Fiction. Nel 2017, i suoi comportamenti sessuali gli valsero le prime d’una serie di accuse: la sua attività finì lì, la sua azienda ne fu compromessa.
Venerdì scorso, i giurati, sette uomini e cinque donne, dopo il quarto giorno delle loro deliberazioni in un’aula segregata della Superior Court di Manhattan, avevano fatto sapere d’avere un accordo sulle tre imputazioni minori e d’essere divisi sui due reati più gravi. Il giudice Jason Burke non s’era però arreso alla prospettiva d’un processo da rifare e li aveva rinviati in Camera di Consiglio, per cercare di trovare un’intesa su tutti i capi d’accusa.
Prima che la giuria si ritirasse a deliberare, aveva suscitato polemiche l’atteggiamento ‘disinvolto’ delle legale dell’ex produttore, Donna Rotundo, che aveva pubblicato su Newsweek un articolo dove chiedeva l’assoluzione del suo cliente, ricordando ai giurati l’ “obbligo di basare il verdetto solo sui fatti, le testimonianze e le prove portate in aula”. Dove le colpe di Weinstein sono parse molto meno lampanti che sui giornali, perché un conto sono i racconti ai media di ‘belle e famose’, un altro le deposizioni in aula di testi poco abituati ai riflettori dell’attualità.
Weinstein, che ha sempre sostenuto di avere fatto sesso con partner consenzienti, è stato accusato per molestie e stupri da un centinaio di donne, ma solo due, la Hailey e la Mann, avevano superato gli standard della procura per metterlo sul banco degli imputati.
“Sono casi difficili quelli di stupro, perché non ci sono quasi mai testimoni presenti: la parola di lui contro quella di lei”, osserva Alessandra Baldini, che ha seguito l’intera vicenda. Proprio su questo s’è basata la difesa di Weinstein: “Le prove sono dalla nostra parte”, ha detto la Rotunno, dopo avere prodotto una serie di email da cui era evidente che le due accusatrici erano rimaste in contatto con Weinstein anche dopo le presunte violenze.
Per corroborare le deposizioni della Hailey e della Mann, i procuratori avevano invitato altre quattro donne a testimoniare. “Weinstein pensava di essere un tale pezzo grosso a Hollywood” che attrici e aspiranti attrici erano “merce completamente a sua disposizione”, ha detto la sostituta procuratrice Joan Illuzzi-Orbon nella requisitoria, mentre su un monitor nell’aula sfilavano le foto delle sei donne che avevano deposto, tra cui Annabella Sciorra dei ‘Soprano’.
La sentenza cade nel giorno in cui una nuova versione ‘West Side Story’ innesca proteste nel segno di #MeToo: il revival del musical, ispirato a Romeo e Giulietta di Shakespeare e creato nel 1957 da Leonard Bernstein e Steven Sondheim, vede nel cast Amar Ramasar, ex ‘cigno nero’ del New York City Ballet. Ramasar, l’anno scorso, è stato licenziato (e poi reintegrato nel corpo di ballo) perché aveva condiviso con altri ballerini foto di donne nude tra cui quelle di alcune colleghe.
Un centinaio di donne con cartelli e slogan ne hanno chiesto a gran voce l’esclusione dal cast, fuori dall’ingresso della prima. Il revival di ‘West Side Story’ è radicale e colloca il musical “nel mondo più dark emerso con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca”, spiega il regista Ivo van Hove.