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Canada: nativi contro Trudeau per gasdotto della discordia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/02/2020

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Justin Trudeau, nelle inedite e improprie vesti di ‘capo dei Lunghi Coltelli’, contro i capi ereditari della tribù Wet’sewet’en: da almeno due settimane, una fetta di Canada, nella British Columbia, è paralizzata dalle proteste dei nativi, sostenuti da migliaia di attivisti, che si battono con sbarramenti e manifestazioni contro un progetto di gasdotto che dovrebbe attraversare le loro terre: quasi 100 mila pendolari bloccati, traffici di merci del valore di miliardi di dollari rallentati.

Dopo un ennesimo consulto governativo, il premier ha detto: “L’attuale situazione è inaccettabile e insostenibile. I canadesi sono stati pazienti, il governo è stato paziente … Ma ora le barricate vanno smantellate…”. Suona monito ai nativi e preavviso alle Giubbe Rosse, la polizia a cavallo già presente sui luoghi della protesta: i contestatori chiedono che sia richiamata, come pre-condizione all’avvio di negoziati; il Ministero dell’Interno nicchia.

La costruzione della Coastal GasLink pipeline (Cgl), iniziata nel 2012, prevede la stesura di circa 670 chilometri di condutture, per un costo di 6,6 miliardi di dollari: il tracciato va dal Nord-Est della Columbia Britannica fino alla costa sul Pacifico, a nord di Vancouver, attraversando le terre dei Wet’sewet’en. La cui protesta si apparenta, senza esservi collegata in modo funzionale, a quella dei Sioux nel Dakota, a sud della frontiera tra Canada e Stati Uniti, contro la Keystone XL, contestatissima pipeline Nord – Sud, che Barack Obama aveva bocciato, ma che Donald Trump ha ri-autorizzato e che le tribù della regione hanno inutilmente tentato di bloccare.

Come racconta fra gli altri la Bbc, i discendenti dei Wet’suwet’en s’oppongono al progetto della Cgl e affermano di detenere l’autorità sulle loro terre, su cui – a loro dire – governo e organi elettivi non hanno né competenza né giurisdizione. A sostenerli, erigendo barricate e creando blocchi su strade e ferrovie, migliaia d’attivisti mobilitatisi da tutto il Paese.

Nel frattempo, l’impatto della protesta inizia a farsi sentire in tutti i settori economici, dall’industria all’agricoltura: carenze di carburante e di merci e 1400 posti di lavoro temporaneamente perduti nelle ferrovie – la CnRail, che muove oltre 250 miliardi di merci l’anno in tutto il Canada, ha chiuso parte della la sua rete -.

Nonostante ingiunzioni della magistratura, la polizia s’è finora astenuta dall’intervenire. E Trudeau, in Parlamento, ha detto di volere continuare il dialogo con i nativi. Che, dal canto loro, ne mettono alla prova l’asserita volontà di portare avanti un processo di riconciliazione. In Canada, gli indigeni godono del diritto all’autodeterminazione e all’autogoverno e vanno consultati su qualsiasi progetto riguardi le loro terre.

Fra i Wet’sewet’en, non tutti la pensano allo stesso modo: il Consiglio di Banda, una sorta di sistema di governo indigeno non tradizionale, che i ‘puri e djuri’ vedono come un’imposizione di Ottawa, è favorevole al progetto Coastal GasLink; invece, i capi tradizionali (un’organizzazione ancestrale) sono contrari e si ritengono gli unici legittimati a prendere decisioni sui territori della tribù.

Anche Trudeau e il suo governo sono lacerati da pulsioni diverse: il premier, in particolare, vuole riuscire a fare la sintesi di tre sue contraddittorie promesse elettorali, il sostegno all’industria energetica canadese, la lotta ai cambiamenti climatici e la riconciliazione con i nativi. La vicenda rischia, inoltre, di danneggiare il tentativo d’ottenere al Canada un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il prossimo biennio, dando concretezza all’altro slogan elettorale, ‘Il Canada è tornato’, nel segno di un rilancio della presenza del Paese nella governance internazionale.

Gli indigeni rappresentano circa il 5% della popolazione canadese e, malgrado alcuni progressi fatti con l’Amministrazione Trudeau, restano la fascia sociale più toccata da povertà e discriminazioni: quasi un terzo di loro non ha un diploma di scuola superiore (rispetto all’8% della popolazione non indigena) e molte comunità autoctone hanno persino gravi difficoltà di accesso all’acqua potabile.

Glen Coulthard, uno specialista di studi sui nativi all’Università della British Columbia, membro della Yellowknives Dene First Nation, prevede, parlando con la Bbc, che il conflitto sia avviato verso una escalation. La Nazione Wet’suwet’en, che oggi conta circa 5000 membri, abita in quella che oggi si chiama British Columbia da migliaia di anni: non ha mai fatto accordi con il Canada e non gli ha mai venduto le sue terre.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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