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Usa: Trump, Barr lo critica, ma è un ‘teatrino della politica’

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/02/2020

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Adesso che non rischia più nulla, perché i democratici si sono ormai giocati malamente la carta dell’impeachment, Donald Trump non ha più freni inibitori: licenzia gli infedeli del suo staff rei d’avere magari detto il vero; ammette quel che aveva spudoratamente negato durante l’inchiesta, contro ogni evidenza e testimonianza; lascia le briglie sul collo ai fedelissimi come Giuliani, Barr, McConnell, che, per difenderlo, hanno mentito e rischiato – ma questo, forse, è solo un ‘teatrino della politica’ -.

“I tweet del presidente mi rendono impossibile lavorare. Deve smetterla di twittare sul Dipartimento della Giustizia”, osa dire il segretario alla Giustizia William Barr in una intervista alla Abc, dopo che l’azione combinata sua e di Trump ha innescato dimissioni a catena fra i magistrati occupatisi dell’amico e consigliere e finanziatore del presidente Roger Stone.

Indagato e arrestato nell’ambito del Russiagate – sarebbe stato il tramite di Trump con Wikileaks, per la pubblicazione di migliaia di mail trafugate al partito democratico -, Stone è stato rinviato a giudizio con sette capi d’imputazione, tra cui ostruzione alla giustizia. I procuratori hanno chiesto che sia condannato a una pena tra i sette e i nove anni.

Ma il presidente è subito intervenuto, definendo la richiesta “orribile e terribilmente iniqua”. E, poi, s’è congratulato con Barr, che a suo dire avrebbe “preso in mano una vicenda finita fuori controllo”, suggerendo una condanna più mite. C’è stato uno stillicidio di dimissioni di magistrati, mentre l’opposizione urlava allo scandalo per le interferenze sulla giustizia della Casa Bianca. E ora s’apprende che Barr starebbe pure ingerendosi nell’indagine su Michael Flynn, il primo consigliere per la Sicurezza nazionale dell’Amministrazione Trump, finito reo confesso nel Russiagate.

Nella bufera, il ministro, che non ama troppo comparire, dice alla Abc: “Penso sia ora che Trump smetta di twittare sui casi gestiti dal Dipartimento della Giustizia: non voglio essere né prevaricato né influenzato da nessuno, che sia il Congresso, l’editoriale di un giornale o il presidente”. E ancora: “Faccio ciò che ritengo giusto e non posso lavorare con un costante background di commenti che mi sminuiscono”.

Con Barr, trova il coraggio di dire la sua il leader della maggioranza repubblicana al Senato Usa, Mitch McConnell: “Il presidente dovrebbe ascoltare il consiglio di Barr sui tweet … Se il ministro delle Giustizia dice questo, forse andrebbe ascoltato”.

Critiche neppur troppo velate che vengono da uomini chiave nel sistema di potere di Trump. Barr, chiamato un anno fa giusto giusto a sostituire Jeff Sessions, ritenuto troppo ‘molle’ sul Russiagate, s’è prestato a tutte le fantasie del presidente, a partire dall’inchiesta – finita in una bolla di sapone – su un presunto complotto democratico all’origine del Russiagate (venne persino di persona in Italia a cercarne le prove, che sarebbero state seminate dal professore maltese Joseph Mifsud). McConnell gli ha fatto scudo nel processo sull’impeachment in Senato, impedendo l’audizione di testi e l’acquisizione di documenti che potevano essere imbarazzanti.

Trump non reagisce troppo male allo sfogo di Barr – ma non si può escludere che lo cacci fra qualche giorno -: delle sue dichiarazioni, estrapola la frase in cui il segretario alla Giustizia afferma che “il presidente non mi ha mai chiesto di fare niente su alcun procedimento penale”, negando dunque ogni interferenza, soprattutto sul caso Stone. “Ma ciò non significa – puntualizza il magnate – che come presidente non abbia il diritto di farlo. Potrei farlo, ma ho deciso di non farlo!”.

Concetto ribadito dalla Casa Bianca: il presidente “non è per nulla turbato” dalle critiche di Barr e ha ancora “piena fiducia” nel suo guardasigilli, dice la portavoce Stephanie Grisham, sottolineando, però, che Trump “ha il diritto, come ogni cittadino, di esprimere pubblicamente le sue opinioni” e notando che “usa i social media in maniera molto efficace per combattere per il popolo americano contro le ingiustizie nel nostro Paese, comprese le fake news”.

La reazione di Trump, insolitamente misurata e tollerante, induce molti a Washington a ritenere che si tratti di un ‘teatrino della politica’: Barr avrebbe informato il presidente di quello che voleva dire, per attutire la tempesta in atto al Dipartimento sul ‘caso Stone’; e McConnell si sarebbe prestato al gioco. “Se Barr resterà al suo posto, vuol dire che è così”, commenta al New York Times una fonte che non vuole essere citata.

E, galvanizzato dall’assoluzione nel processo d’impeachment, Trump, in un’intervista podcast con il noto giornalista Geraldo Rivera, ammette d’avere mandato il suo avvocato personale Rudy Giuliani in Ucraina per cercare informazioni sui Biden, padre e figlio, cosa che finora aveva sempre negato. “E’ stata una mia scelta”, perché era insoddisfatto a causa del Russiagate dell’intelligence Usa. E via con l’elogio dell’ex capo della polizia e sindaco di New York, “un grande combattente del crimine”, che pareva il capro espiatorio designato del Kievgate, uno da dare in pasto al Congresso se serviva, e che invece è sopravvissuto all’inchiesta come il suo capo.

Che intelligence, giudici e Trump non siano in sintonia lo ha ieri confermato il proscioglimento di Andrew McCabe, numero due dell’Fbi, che il presidente considera una ‘mela marcia’. Il presidente ha imaparato qualcosa dalla lezione dell’impeachment? “Non ci sono forti segnali che l’abbia fatto”, dice a mezza bocca la senatrice repubblicana dell’Alaska Lisa Murkowski, una che sa cantare fuori dal coro.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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