In Siria, è sempre così, da ormai quasi nove anni: a fasi alterne, tutti sparano su tutti. E l’asserto è sempre lo stesso: “Combattiamo i terroristi”, dove, volta a volta, terroristi significa oppositori, o sostenitori, del regime; o curdi che combattono l’Isis, ma sono terroristi per i turchi; e talora pure bande vicine ad al Qaida o miliziani integralisti, cioè – loro sì – potenziali veri terroristi. Cui alcune delle parti in lotta, specie la Turchia, nelle pause degli scontri, forniscono armi.
L’ultima recrudescenza di un conflitto ‘tutti contro tutti’ mai cessato, nonostante una litania di tregue, è nel nord-est del Paese, a Idlib, dove il ministro della Difesa turco Hulusi Akar riconosce: “Stiamo inviando truppe aggiuntive per difendere il cessate-il-fuoco e renderlo permanente. Controlleremo l’area e prenderemo ogni misura necessaria contro chiunque non lo rispetti, compresi i gruppi radicali”. L’agenzia di stampa turca Anadolu riferisce che un convoglio con numerosi obici Firtina (Tempesta) e mezzi blindati è stato scortato fino al distretto di Reyhanli della provincia di Hatay.
L’offensiva siriana, sostenuta dalla Russia, è indirizzata contro milizie ribelli filo-turche. Incidenti e scontri si succedono da quasi due settimane: ieri, i turchi riferivano di avere “neutralizzato”, cioè ucciso o ferito, almeno 55 soldati dell’esercito di Assad, che vanno sommati ai 152 già rivendicati nei giorni precedenti, a fronte di 14 perdite turche. Damasco non conferma le cifre.
Ankara accusa il regime di Assad anche “di attacchi aerei e terrestri” nella zona di de-escalation creata nel nord-ovest dopo l’operazione turca anti-curda Fonte di Pace dell’autunno scorso, che mirava a istituire una zona di sicurezza lungo il confine profonda una trentina di chilometri e ‘libera da curdi’. L’operazione, favorita dal pilatesco atteggiamento degli Stati Uniti, che, pur strepitando contro Ankara, avevano lasciato via libera ai soldati turchi, ritirandosi dal loro cammino, era stata conclusa con un accordo tra Russia e Turchia, che prevedeva il ritorno nell’area delle forze lealiste. Dal Nord-Est continuano a giungere informazioni contraddittorie su un incidente verificatosi giorni fa, con vittime civili, di cui sono stati protagonisti militari americani.
Tra la Turchia di Erdogan e la Siria di Assad non corre buon sangue. I russi, che sono alleati e garanti del regime di Damasco, affermano che le forze armate siriane, nella provincia di Idlib “stanno conducendo una lotta contro i terroristi nel proprio territorio”: “Sono adempimenti previsti dagli accordi di Sochi – intercorsi tra Putin ed Erdogan, ndr -, obblighi assunti dalle parti…”. Il dialogo anche militare tra Ankara e Mosca resta aperto: ieri, il capo di Stato Maggiore russo, generale Valery Gerasimov, ha discusso la situazione siriana con il suo omologo turco, generale Yasar Guler.
Ieri mattina, l’esercito turco ha bombardato con le artiglierie postazioni governative siriane, cercando di rallentare l’avanzata delle truppe di Damasco verso l’interno della provincia di Idlib, ultima roccaforte delle opposizioni siriane sostenute da Ankara nella Siria nord-occidentale. Secondo fonti locali citate dai media internazionali e avallate dall’agenzia governativa Sana, l’artiglieria turca martella la zona di Saraqeb lungo l’autostrada Hama-Aleppo, che era stata presa dalle forze governative nei giorni scorsi col sostegno dell’aviazione russa.
Naturalmente, le fiammate del conflitto hanno costi umanitari. Nelle ultime 48 ore, l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) conta 100mila i civili siriani sfollati nella Nord-Ovest del Paese martoriato dall’offensiva governativa e dalla risposta turca. Decine di migliaia di civili si dirigono da sud-ovest di Aleppo verso il confine turco: donne e bambini, in larghissima parte.
L’Onu calcola che siano circa 700 mila gli sfollati dall’inizio dell’anno, che vanno ad aggravare l’affollamento dei campi profughi in territorio turco, proprio mentre, al confine con il Libano, si registra il fenomeno opposto, cioè in rientro in patria di una parte del milione di siriani rifugiatisi nel Paese dei Cedri.