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Virus: Cina, Xi e la sfida del contagio alla leadership

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/01/2020

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L’ultimo bilancio parla di 26 morti e 897 casi confermati, ma non sono ancora chiari ritmo e modalità di diffusione del virus Corona che ha intanto raggiunto Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti e di cui casi sospetti vengono segnalati in Italia – a Parma e a Bari -, in Francia – a Bordeaux – e soprattutto in Gran Bretagna – una dozzina -.

La mappa del contagio varia di ora in ora: preoccupa il fatto che la notizia in Cina abbia, sui media, meno rilievo che altrove, nonostante siano state prese misure di prevenzione drastiche: il blocco degli spostamenti interessa decine di milioni di persone. Se l’opinione pubblica non è pienamente consapevole dei rischi della situazione, sarà meno psicologicamente mobilitata.

Uno crede che il difficile sia governare un Paese di oltre un miliardo e 300 milioni di abitanti e imporsi al Partito che lo guida; oppure, confrontarsi con un nemico collerico e impulsivo, un omone grande e grosso, gradasso e spocchioso. E quando ti pare di avere sotto controllo Paese e Partito, e sei addirittura presidente a vita, e di avere neutralizzato l’invadente avversario, ti accorgi d’un virus che ha eluso regole e controlli, t’è penetrato dentro, sta già facendo danni letali ed espone al Pianeta le lacune della tua governance (e il Pianeta a quelle lacune).

E’ quello che sta accadendo alla Cina di Xi Jinping, di fronte all’emergenza Coronavirus a Wuhan, che pare sia stata affrontata con più prontezza e con più trasparenza di quanto non avvenne con la Sars nel 2003, ma di fronte alla quale emergono le ancestrali tentazioni cinesi alla segretezza e alla copertura e la scarsa dimestichezza con pubblicità e divulgazione. E Pechino deve pure fare i conti con la disomogeneità d’un territorio dove punte d’eccellenza sanitaria e tecnologica coesistono con sacche d’arretratezza e povertà, scarsa igiene e medicina tradizionale.

Certo, nella megalopoli di 11 milioni di abitanti della provincia centro-orientale di Hubei, la Cina mette mano alle ruspe e in dieci giorni può riuscire a costruire un ospedale dedicato al virus, là dove noi, con le nostre procedure e i nostri controlli, ci metteremmo mesi, probabilmente anni. Ma Pechino deve pure arrendersi a una serie di decisioni eccezionali, che sono segni di pericolo e d’allarme. Vale per la politica e vale per l’economia.

Così, la Huawei ha annunciato il rinvio di una grande conferenza per sviluppatori che doveva svolgersi a febbraio: la Hdc.Cloud Huawei Developer Conference 2020 era in programma l’11 e 12 febbraio a Shenzhen. Sul sito dell’evento, si legge ora: “Attribuiamo grande importanza alla salute e all’incolumità di tutti gli ospiti che parteciperanno alla Hdc.Cloud 2020. Pertanto, vista l’attuale situazione relativa alla prevenzione e al controllo del coronavirus, la conferenza sarà rinviata al 27  e 28 marzo”. E le qualificazioni olimpiche di boxe per Tokyo 2020, previste a Wuhan nella prima metà di febbraio, cambiano sede – la nuova non è stata ancora annunciata -.

A rischio tenuta, per il momento, non sembra la governance interna. Ma, scrive il New York Times, l’esplosione del virus costituisce una minaccia per l’economia cinese, già in fase di rallentamento, e, di conseguenza, potenzialmente per l’economia mondiale. La Cnn rileva che una pandemia “è l’ultima cosa di cui l’economia cinese aveva bisogno”: il sistema sta ancora accusando l’impatto della ‘guerra dei dazi’ con gli Usa, messa in stand by la settimana scorsa, e rischia di subire adesso le conseguenze d’un colpo di freno agli spostamenti e ai consumi nei giorni del capodanno lunare, quando centinaia di milioni di cinesi sono soliti spostarsi e consumare di più. Come facciamo noi, con i cenoni o i pranzi di famiglia a Natale, e gli americani, con il tacchino del Ringraziamento.

Considerazioni che valgono nel brevissimo termine. Ma se l’allarme dovesse protrarsi è impossibile prevederne le conseguenze. Fin dalle prime battute, la crisi ha fatto emergere lacune e disfunzioni nel modello di controllo e di risposta cinese. Nel 10° anniversario della Sars, Zhong Nanshan, uno degli eroi della lotta contro la polmonite atipica, aveva affermato che quello era stato “un momento di svolta” per la Cina: “Abbiamo fatto grossi progressi – aveva detto nel 2013 -, ma i nostri passi sono lenti, specialmente in tema di sanità”.

Sono passati altri sei anni. Il nuovo Coronavirus sta ora dando la misura della capacità del sistema sanitario cinese di reagire a un nuovo agente patogeno letale e della prontezza del governo centrale nel gestire e tenere sotto controllo la crisi, coordinando gli sforzi e condividendo le informazioni con la comunità scientifica internazionale.

Pechino ha costituito un gruppo di ricerca nazionale ed una banca dati per analizzare le mutazioni del virus: l’ipotesi di trasmissione dai serpenti desta perplessità nella comunità scientifica, che punta a un vaccino nel giro di tre mesi. L’esercito ha mobilitato i medici militari. Disneyland Shanghai è chiusa.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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