Le contraddittorie dichiarazioni del premier libico Fayez al-Serraj riflettono gli interrogativi lasciati aperti dalla conferenza di Berlino sulla Libia: con al Jazira, al-Serraj esprime un “cauto ottimismo”, ma poi inanella tutta una serie di fondati motivi per nutrire un “ragionevole pessimismo”: c’è – dice – una controparte, il generale Khalifa Haftar, che “non rispetta gli impegni” – “non è affidabile”, aveva detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan -; e “non x’è un vero partner per portare avanti un processo di pace in Libia”. Sarraj è anche critico delle ingerenze degli Emirati arabi uniti, che come la Russia e l’Egitto sostengono Haftar pure a livello militare, affermando: “Non abbiamo frontiere comuni con gli Emirati, il che ci desta interrogativi sui loro obiettivi nel nostro Paese”.
Per molti versi, la conferenza di Berlino evoca la conferenza di Palermo dell’autunno 2018: anche allora si parlò di un passo per la messa in moto di un processo politico; e, meno di sei mesi dopo, Haftar scatenava la sua offensiva, che quel processo politico ha messo in stand-by, anzi ha sepolto sotto centinaia di vittime e tonnellate di piombo.
Di sicuramente positivo, della conferenza di Berlino c’è che s’è fatta, quando nessuno ci avrebbe scommesso un dinaro solo una settimana prima; e che i partecipanti sono stati concordi su un testo in 55 punti, molti dei quali tanto ovvii in teoria quanto lontani dall’essere realizzabili in pratica: e che i due antagonisti, al-Sarraj e Haftar, avevano alla fine accettato di esserci – a Berlino, però non al tavolo della conferenza -. Bene, pure, la composizione di una commissione che deve monitorare il rispetto della tregua e l’abbozzo di un calendario d’appuntamenti prossimi venturi, a partire dall’incontro di Ginevra, imminente, dove dovrebbero esserci i libici.
Le carenze e le assenze – Nel rapporto tra al-Sarraj e Haftar, Berlino ha segnato un passo indietro rispetto a Palermo, dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte era almeno riuscito a farli incontrare ed a forzare una stretta di mano e beneficio dei fotografi (al-Serraj era pure intervenuto alla plenaria).
Tra Palermo e Berlino, la guerra fra i due è divenuta aperta e questo si riflette sui loro rapporti. Ma il premier e il generale non sono gli unici protagonisti nel caos libico; e né l’uno né l’altro hanno pieno controllo del loro campo. Signori della guerra, milizie, trafficanti, mercenari cercheranno tutti d’avere il proprio tornaconto da un eventuale accordo, quando ci sarà se ci sarà; e, nel frattempo, saranno tentati di fare sentire il loro peso.
Le contraddizioni e le ingerenze – Se rispetto a Palermo al-Serraj e Haftar sono più ai ferri corti, Berlino ha apparentemente visto più concordi i Paesi intorno al tavolo – a Palermo, ad esempio, la Turchia piantò in asso i partner -. Peccato che, fra quanti hanno concordato sui 55 punti, ve ne siano che sostengono in modo aperto, anche militare, l’una o l’altra fazione – la Russia e la Turchia, solo per fare un esempio – o che hanno accantonato per convenzione diplomatica le loro rivalità senza averle risolte – l’Italia e la Francia, solo per fare un esempio -.
Uno dei punti da tutti accettati è il no alle ingerenze in Libia. E, intorno al tavolo di Berlino, c’erano praticamente tutti i Paesi che mestano nel caos libico, l’Egitto, gli Emirati, la Russia, da una parte; e la Turchia, dall’altra. E che, da un giorno all’altro, cessino le ingerenze nessuno ci crede, anche se Putin ed Erdogan mettono foglie di fico sulla loro presenza, tramite mercenari (da parte russa) e miliziani (da parte turca) – Ankara adesso sostiene che il suo aiuto militare ad al-Sarraj consisterà solo d’istruttori e consiglieri, il che creerebbe delusioni a Tripoli -.
Il fattore militare – La commissione costituita per monitorare la tregua è, a priori, una bufala: dieci componenti, cinque nominati da al-Sarraj e cinque da Haftar, sono una ricetta per il fallimento o, almeno, la paralisi.
Nell’ipotesi che la tregua nonostante tutto tenga, ci vorrebbe poi una forza di interposizione. E qui casca l’asino di Berlino: Haftar non la vuole, finché Mosca non lo convince; al-Serraj la vuole Onu e non Ue, sentendosi ‘tradito’ dall’equidistanza europea, dopo che, a parole, molti, Italia in testa, e con l’eccezione della Francia, l’avevano convinto che era lui l’unto della comunità internazionale. Dopo di che, se mai forza di interposizione ci sarà, vedremo chi davvero ci metterà uomini e mezzi; e chi i libici vorranno.
Il fattore economico ed energetico – E’ la componente rimasta finora estranea ai giochi di guerra, come se la Libia fosse davvero uno Stato solo nella gestione del ricavato di petrolio e gas. Adesso, la chiusura dei porti decisa da Haftar cambia i dati dell’equazione e aggiunge un’incognita pesante.