Qualche tempo fa, quando ancora si spedivano le lettere e in Italia affidarne una alla posta metteva l’ansia – arriverà?, e quando? -, in Belgio, se una cosa filava liscia, senza un intoppo, si diceva ‘Comme une lettre à la poste’, come una lettera in posta: le lettere partivano e arrivavano, esattamente come in Belgio continuano a fare i treni e gli aerei, che un governo ci sia o – spesso – non ci sia. Il giorno che si va a votare, la domenica, in mezza giornata si raggiungono percentuali d’affluenza altissime – il voto è obbligatorio -, senza perdere un giorno di scuola: a sera gli scrutini sono fatti e le aule sgomberate.
Eppure il Belgio non ha un popolo e neppure una lingua: i fiamminghi, che sono circa i due terzi della popolazione, al nord, sono conservatori e cattolicissimi e parlano, appunto, il fiammingo, simile all’olandese; i valloni, al Sud, socialisti e mangiapreti, parlano francese; lo Stato è la somma di tre entità fortemente autonome, le Fiandre, la Vallonia e Bruxelles, capitale bilingue. I simboli dell’unità nazionale sono la monarchia – i Sassonia Coburgo Gotha vengono, però, dalla Germania –; la Brabanconne, l’inno che celebra l’indipendenza acquisita nel 1831; e la nazionale di calcio, specie quando, come in questo momento, è forte, anzi fortissima, in testa al ranking Fifa, davanti – che goduria, per i belgi abituati a essere oggetto di sfottò – alla Francia.
Che ci sia o meno un governo, le cose funzionano (quasi) sempre come ci si aspetta che funzionino. Ciascuno fa il suo lavoro, magari senza fantasia, ma con applicazione e concretezza. E il Paese se la cava: nel 2010, gestì senza governo un semestre di presidenza di turno del Consiglio dell’Unione; e, questa volta, senza governo, è riuscito a promuovere il suo premier in carica per gli affari correnti, Charles Michel, alla presidenza del Consiglio europeo e a insediare al suo posto la prima donna premier nella storia belga, Sophie Wilmès – è la ‘custode’ del potere, in attesa che qualcuno politicamente legittimato lo reclami -. E l’economia non ne soffre troppo: il debito pubblico continua a scendere – era al 101% del Pil nel 2018, calerà al 98% quest’anno-, il disavanzo s’attesta all’1,6%, le tasse scendono, la disoccupazione è intorno al 6,5%, il turismo è uscito dal tunnel nero degli attentati terroristici del 2016 e 2017.
Ci stiamo avvicinando ai 400 giorni senza un governo nella pienezza dei poteri. E’ dal 18 dicembre 2018, giorno in cui il partito nazionalista fiammingo N-Va pose fine alla coalizione di centro-destra guidata dal premier Michel, d’ispirazione liberale, che il governo belga è ridotto agli affari correnti. Siamo ancora lontani dal record mondiale – ovviamente belga – di 541 giorni, stabilito tra 2010 e 2011; e un altro lungo periodo simile si ebbe fra il 2007 e il 2008, oltre sei mesi.
Oggi, le distanze fra i partiti di diversi schieramenti nelle Fiandre e in Vallonia non fanno ancora intravedere un accordo di coalizione all’orizzonte. Né se ne avverte l’urgenza, visto che le cose funzionano lo stesso: i tremi, come gli aerei, partono e arrivano.
Nonostante la crisi fosse stata dichiarata a fine 2018, per le elezioni politiche si attese il 26 maggio, sfruttando l’Election Day europeo (e non sprecando soldi). Poi, due giorni prima che Michel dovesse assumere la presidenza del Consiglio europeo, il 28 ottobre, la Wilmès, 44 anni, anch’essa d’ispirazione liberale, ne ha preso il posto. Quasi 250 giorni sono passati dalle elezioni politiche, che hanno visto una netta affermazione delle diverse sigle del nazionalismo fiammingo: da allora, diversi ‘formatori’ – così in Belgio si chiamano coloro incaricati di formare il governo, di cui non devono necessariamente divenire premier – si sono succeduti, senza trovare la formula giusta per dare al Paese un governo federale sulla base di un accordo politico e nella pienezza dei poteri.
Ma, sbarcando all’aeroporto di Zaventem o arrivando alla Gare du Midi a Bruxelles, non avrete l’impressione di un Paese sull’orlo di una crisi di nervi. 11,4 milioni di abitanti, una superficie pari a quella di Lombardia e Liguria insieme, il Belgio ha un’economia ben diversificata, forte soprattutto nei servizi. E gli indici di qualità della vita sono tutti eccellenti su scala mondiale: libertà, diritti politici, libertà civili, persino il funzionamento dello Stato – “un paradosso”, rileva Francesca Salvatore in un articolo di Inside Over -.
E’ stata la politica a ostinarsi sull’opzione del federalismo, allentando i vincoli dell’unità nazionale; e, adesso, la gente dà l’impressione d’anteporre alla politica l’ordinaria amministrazione. Vivendo ugualmente bene.