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Usa 2020: dibattito, attesa confronto, democratici meno ‘diversi’

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Erano tanti, 25 a un certo punto, e molto diversi, neri, ispanici, asiatici, mezza dozzina di donne. Adesso, restano ancora tanti, una dozzina – tre però non sono neppure rilevati dai sondaggi -, ma sono molto meno diversi: uomini, bianchi, over settanta; e miliardari – ce ne sono tre in corsa, esattamente come le donne -; uno – il più giovane – è un omosessuale dichiarato.

La gamma degli aspiranti alla nomination democratica per Usa 2020 non dà spazio all’entusiasmo e stempera la speranza che Donald Trump possa essere battuto nell’Election Day, il 3 novembre. Ma mancano ancora quasi 300 giorni; e il primo dibattito del 2020 fra candidati democratici quasi coincide con l’avvio del processo in Senato per l’impeachment del magnate e showman.

Il dibattito s’è svolto nella notte alla Drake University di Des Moines, la capitale dello Iowa, Stato che il 3 febbraio aprirà la stagione delle primarie: le 20.00 ora locale, le 03.00 del mattino in Italia.

Meno diversi – Con l’uscita di scena di Cory Booker, senatore del New Jersey, non ci sono praticamente più neri – Deval Patrick non ha alcuna possibilità -; e già non c’erano più ispanici; e presto non ci saranno più asiatici. Il senatore Booker, che ha sospeso la campagna lunedì, era rimasto l’unico afro-americano d’un certo peso, dopo l’abbandono della senatrice della California Kamala Harris. Il senatore non era mai emerso come protagonista nei dibattiti (e non si era qualificato per quello di Des Moines), non brillava nei sondaggi ed era in difficoltà nella raccolta fondi.

Il passo indietro di Booker, che aveva incentrato la sua campagna su un messaggio di unità, è stato commentato con ironia da Trump su Twitter: “Davvero una grande breaking news … Ora posso dormire sonno tranquilli …, ero così preoccupato dal ritrovarmi un giorno testa a testa con lui”.

Sul palco della Drake University, solo sei dei 12 aspiranti alla nomination ‘superstiti’: Joe Biden, l’ex vice-presidente, i senatori Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Amy Klobuchar, l’ex sindaco di South Bend nell’Indiana Pete Buttigieg e il miliardario Tom Steyer. Tutti bianchi 100%, ben poco diversi, salve le pretese origini ‘native’ della Warren.

Rispetto all’ultimo dibattito 2019, resta fuori l’imprenditore di origini asiatiche Andrew Yang. Fuori pure la deputata Tulsi Gabbard e tre comprimari di questa campagna (Patrick, Michael Bennett e John Delaney). Un caso a parte è il miliardario Mike Bloomberg, che salta le primarie di febbraio e punta sul Super Martedì del 3 marzo e, inoltre, usa per fare campagna solo fondi propri, rifiutando ogni donazione: è pronto a spendere un miliardo del suo per ottenere la nomination, ma soprattutto perché Trump non ottenga un secondo mandato, e ha messo in campo una squadra di mille agenti sul territorio.

Polemica a sinistra – Nelle ultime ore, la campagna democratica vede incrinarsi le relazioni personali fra i protagonisti ‘di sinistra’: la polemica è esplosa tra Sanders, che nega d’avere mai detto che una donna non può vincere, e la Warren, che gli rimprovera calunnie sul proprio conto diffuse dai suoi volontari. ‘Socialista’ il primo, egeria di Occupy Wall Street la seconda, si contendono in prima battuta la stessa fetta dell’elettorato democratico.

Il valzer dei sondaggi nello Iowa vede ora in testa, nel rilevamento della Monmouth University, Biden, col 24% delle preferenze, davanti a Sanders al 18%, a Buttigieg al 17% e alla Warren al 15%. Secondo il sito che fa la media dei principali sondaggi, nello Iowa, dove per settimane era stato in fuga Buttigieg, è ora testa a testa tra Biden e Sanders, dato avanti domenica da un sondaggio Des Moines Register / Mediacom / Cnn. A livello nazionale, Biden è oltre il 20%, Sanders, Buttigieg e la Warren lo seguono tra il 20 e il 15%.

L’impatto dell’impeachment – Il voto di novembre sarà influenzato, se non condizionato, dal processo di impeachment a Trump, che sta per aprirsi in Senato. La speaker della Camera Usa Nancy Pelosi s’è finalmente convinta a trasmettere al Senato gli atti del rinvio a giudizio per abuso di potere e intralcio alla giustizia approvato dai deputati il 18 dicembre.

Sulle modalità del processo e, in particolare, sulla convocazione di ulteriori testimoni, restano contrasti tra i repubblicani, che al Senato sono maggioranza (53 su 100), e i democratici: perché Trump sia ‘impeached’ e, quindi, rimosso, ci voglio i due terzi dei suffragi, 67 su 100.

Il presidente intende usare i suoi poteri per bloccare l’eventuale testimonianza del suo ex consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, pronto a deporre se convocato con un mandato.

 

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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