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Caliamo un tris di eventi mondiali, sul tavolo del 2020, storie da seguire per tutto l’anno: la Brexit, il clima, Usa 2020. Che può diventare un full, se lo sport conta, con Europei di calcio ed Olimpiadi di Tokyo. Oppure un poker, se l’impeachment non dovesse fare flop subito a gennaio.
La Brexit sarà cosa fatta al 31 gennaio, nel senso che l’Ue non sarà più a 28 ma a 27. Ma tutto l’anno se ne andrà nei negoziati tra Bruxelles e Londra sul futuro assetto delle relazioni tra Regno Unito – ma non troppo, con la Scozia e l’Ulster in agguato e in subbuglio – e Unione europea, più unita che mai, invece, su questo fronte.
Il clima: qualcuno dirà che abbiamo appena finito di parlarne alla Cop 25 di Madrid – ed è vero -, ma siccome la conferenza è stata un buco nell’acqua, se non nell’ozono, ne continuaremo a parlare fino alla Cop 26 di Glasgow (e il percorso d’avvicinamento prevede tappe in Italia).
Usa 2020 fa l’unanimità dei consensi: il presidente degli Stati Uniti verrà eletto il 3 novembre e ci aspettano 300 giorni di campagna elettorale, passando attraverso le primarie – da febbraio a giugno -, le convention – in estate –, i dibattiti presidenziali tra settembre e ottobre. Tutto potrebbe prendere colori più intensi e avere sbocchi imprevisti se la procedura d’impeachment contro Donald Trump non si esaurisse presto in Senato, ma restasse viva a lungo (sarebbe un peso sul percorso elettorale del magnate presidente, oppure un boomerang su quello dei suoi rivali).
Le aree di crisi
Il nostro tris non esaurisce però le criticità per la sicurezza internazionale del prossimo anno. Per le aree di tensione, le previsioni non sono fauste: i contrasti in Medio Oriente, arabo-israeliani, ma più ancora in questa fase tra Iran e Arabia saudita, non saranno archiviati, anche se il conflitto in Siria sarà forse a minore intensità; la Libia resterà uno Stato fallito, se non si frammenterà ulteriormente; e le guerre in Africa continueranno a essere combattute; le ragioni del fermento in America latina, ingiustizie e disuguaglianze, non saranno sanate; la pericolosità della Corea del Nord non sarà ‘neutralizzata’ da vertici e accordi; le frizioni nei rapporti degli Usa con Cina e Russia non saranno azzerate. E, a rendere più minaccioso il prossimo quadriennio, c’è il rischio che Trump sia rieletto.
Alcuni eventi degli ultimi giorni, anche delle ultime ore, allungano ombre sinistre sul Nuovo Anno: l’interventismo della Turchia in Libia, dove altri attori esterni, fra cui l’Italia, stavano invece rivalutando l’equidistanza; i raid Usa su presenze filo-iraniane in Iraq e in Siria, un episodio che aggroviglia, e non sbroglia, l’intreccio di interferenze esterne e tensioni interne in quei Paesi; infine, i propositi minacciosi del dittatore nord-coreano Kim Jong-un, che si ricorda al Mondo, e soprattutto a Trump, che ogni tanto lo esibisce come trofeo della sua politica estera e poi se ne scorda.
Eppure, una cosa è certa: l’Anno Nuovo, il 2020, sarà migliore, come lo pubblicizza, instancabile, da ormai quasi due secoli, il venditore di almanacchi.
La Brexit e il riposizionamento della Gran Bretagna
Il voto britannico del 12 dicembre ha messo la pietra tombale sulle recriminazione dei ‘negazionisti della Brexit’: che vogliano davvero andarsene o che vogliano semplicemente mettere la parola fine alla pantomima dei negoziati con l’Ue, gli elettori hanno affidato un chiaro mandato al loro premier Boris Johnson, fare la Brexit e attuare finalmente quanto deciso con il referendum del 23 giugno 2016.
Il primo passo è relativamente semplice: l’uscita formale avverrà entro il 31 gennaio, Londra non avrà più voce in capitolo nelle decisioni dell’Ue. Dopo di che, ci sarà tutto l’anno, salvo proroghe (da non escludersi), per negoziare il futuro assetto delle relazioni tra Unione europea e Regno Unito e per cercare una soluzione, che apparentemente non c’è, alla ‘questione irlandese’ – mantenere aperta la frontiera tra Eire e Ulster, ma garantire, nel contempo, la separazione tra i mercati interni europeo e britannico -.
Il riposizionamento sarà relativamente indolore per l’Ue, che, infatti, nella trattativa, ancora affidata a Michel Barnier, non ha mai avuto tentennamenti: e sarà molto più complesso per il Regno Unito, che deve nello stesso tempo ridisegnare i propri rapporti con gli Stati Uniti e con il resto del Mondo sul piano politico ed economico.
Il negoziato post Brexit sarà uno dei banchi di prova delle nuove Istituzioni europee uscite dall’anno delle elezioni e del rinnovo delle cariche: la Commissione europea della presidente – donna e tedesca – Ursula von der Leyen s’è data priorità di ampio respiro nel segno del rilancio della crescita e dell’occupazione, dell’integrazione e della coesione, dell’ammodernamento e dell’adeguamento energetici e digitali del modello europeo. Ma, nell’immediato, deve chiudere il discorso del bilancio Ue pluriennale.
A farlo presto e bene non l’aiuta molto il calendario delle presidenze di turno del Consiglio dell’Ue nel 2020: inizia la Croazia, all’esordio, cui darà il cambio il 1° luglio una Germania, non all’apice delle sue forza economica e solidità politica. Ed è un handicap la situazione malferma di molti leader europei: in Italia; in Spagna; in Germania, dove la cancelliera Angela Merkel è logorata dalle sconfitte sue e dei suoi alleati; anche in Francia, dove il presidente Emmanuel Macron è oggetto di contestazioni radicali e violente.
Usa 2020 e l’attacco al Gradasso in Capo dei Grandi Vecchi
Più mediaticamente spettacolare il percorso verso l’Election Day negli Stati Uniti del 3 novembre, quando gli americani decideranno chi sarà il loro presidente fino al 2024 e rinnoveranno, inoltre, tutta la Camera e un terzo del Senato. Se l’impeachment non va in porto, com’è oggi probabile, Donald Trump sarà uno dei protagonisti della corsa alla Casa Bianca.
Contro di lui, i democratici devono decidere chi schierare: lo faranno, nei prossimi mesi. Per ora, l’onda anomala di una trentina di aspiranti alla nomination democratica ha fatto emergere un poker di Grandi Vecchi, l’ex vice-presidente di Barack Obama Joe Biden, i senatori Bernie Sanders e Elizabeth Warren e il miliardario Mike Bloomberg, tutti ultra-settantenni e tutti bianchi: Biden e Bloomberg sono moderati; Sanders e la Warren sono ‘sinistrorsi’. A loro, prova a tenere testa – e finora ci riesce – Pete Buttigieg, il ‘nipote d’America’, 37 anni, sindaco omosessuale e arcobaleno d’una cittadina dell’Indiana, South Bend.
Una di queste carte rimaste in mano ai democratici si rivelerà vincente?, o Trump ce la farà ancora?, o uscirà un jolly?, e ci sarà la ‘sorpresa d’ottobre’? Tutte le opzioni sono aperte, a un mese dall’avvio, il 3 febbraio, nello Iowa, terra di caucuses, del più grande spettacolo politico mondiale, l’elezione del presidente degli Stati Uniti.
Clima: governi freddi sul riscaldamento globale
Il sostanziale insuccesso della Cop25 di Madrid “è solo il sintomo – scrive su AffarInternazionali.it Luca Bergamaschi – di una politica internazionale che fa passi indietro”, specie se la si confronta con la sensibilità dell’opinione pubblica, sulla lotta contro il riscaldamento globale: “A Italia e Regno Unito il compito di rilanciare l’azione nel 2020”. “Lo scollegamento tra la realtà e i negoziati sul clima non è mai stato così palpabile”, constata Bergamaschi, che ha seguito i lavori madrileni.
I testi finale della Cop25 di Madrid riconoscono che tutti gli Stati devono fare di più per ridurre le emissioni: con le politiche attuali, siamo avviati a raggiungere entro fine secolo 3 gradi d’aumento globale medio della temperatura; il che “minerebbe le basi della convivenza umana”, nota Bergamaschi. Gli Stati devono presentare entro la Cop26 piani che riflettano “la più alta ambizione possibile”, riconoscendo l’urgenza del problema come indicato dalla comunità scientifica.
Un passaggio importante sulla via da Madrid a Glasgow sarà il confronto tra Ue e Cina, campione d’investimenti in rinnovabili, ma anche di consumo di carbone: al Summit Ue-Cina, il 14 settembre a Lipsia, Bruxelles e Pechino dovranno assumere la leadership globale che oggi manca, specie dopo la defezione degli Stati Uniti, annunciando nuovi obiettivi da portare insieme al tavolo di Glasgow.
L’Europa ha già lanciato segnali incoraggianti: la nuova Commissione ha presentato lo European Green Deal – il più grande piano di trasformazione ecologica del continente mai lanciato – e ha pure prospettato, a livello di capi di Stato e di governo, l’obiettivo delle neutralità climatica, cioè zero emissioni nette, entro il 2050 – è la prima regione globale a darsi un target così ambizioso -.
Per dare credibilità a tale aspirazione, bisogna però vincere le residue resistenze e adottare, si spera già al Consiglio europeo del giugno 2020, l’obiettivo del 55% di riduzione delle emissioni al 2030 (rispetto all’attuale 40%).
Molti Paesi europei hanno già detto sì, l’Italia sembra ancora esitare. Per giocare un ruolo chiave quale presidente della pre-Cop, a Milano a ottobre, ed essere di supporto alla presidenza britannica della Cop26, Roma deve darsi una mossa: non si guida la carrozza dal predellino del lacchè, dietro la vettura.
L’articolo 2020: accadde domani, un tris con Brexit, clima, Usa 2020 sembra essere il primo su Giampiero Gramaglia – Gp News.
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