Lo scudo anti-impeachment di Donald Trump al Senato è un uomo mite, che, fra un anno, dovrà riconquistarsi il seggio in uno Stato divenuto difficile, il Kentucky, e avrà quindi bisogno dell’ombrello protettivo del suo presidente. Dunque, la lealtà a Trump di Mitch McConnell, capogruppo dei repubblicani al Senato, non ha limiti: il senatore arriva al punto di dichiarare che lui non si sentirà vincolato all’imparzialità, nell’amministrare la giustizia il mese prossimo (o quando sarà, ché adesso i democratici hanno in animo tattiche dilatorie).
Sui suoi collaboratori, e non solo, il presidente è uomo dai facili entusiasmi e dai cambi d’opinione repentini. Ora, stravede per McConnell, ma in passato l’aveva pure bollato come un buono a nulla, quando una fronda interna al gruppo repubblicano aveva fatto annullare l’atteso voto sulla revoca dell’Obamacare, la riforma sanitaria di Barack Obama.
Il mite, ma abile Mitch si era riscattato nel giro d’una settimana: con un voto procedurale, provato sul filo del rasoio (50 a 50 e il suffragio determinante del presidente del Senato, e vice-presidente Usa, Mike Pence), l’assemblea aveva accettato di riprendere la discussione sulla riforma sanitaria. E poco importa che, alla fine, tutto sia rimasto nel limbo: Trump è contento se dà l’impressione d’avere fatto qualcosa; farla, non è necessario. Con il presidente ci sono stati altri alti e bassi, specie al tempo dello shutdown, un anno fa, quando i repubblicani non riuscirono a sbloccare i fondi per la costruzione del muro anti-migranti lungo il confine con il Messico.
Addison Mitchell ‘Mitch’ McConnell, 77 anni, un altro pezzo della gerontocrazia statunitense, va su e giù sulle montagne russe del gradimento presidenziale, ma il magnate lo considera uno dei suoi, magari non il più smart, ma uno solido e affidabile. Con il passare degli anni, McConnell colleziona record: è il senatore del Kentucky rimasto in carica per più tempo – dal 1984 a oggi, sta per esaurire il sesto mandato – ed è il capogruppo repubblicano più longevo (resiste dal 2002).
Noto per essere un pragmatico e un moderato, con il tempo s’è spostato su posizioni più di destra e conservatrici: con tattiche ostruzionistiche riuscì a bloccare molte misure del presidente Obama e, soprattutto, gli centellinò le nomine dei giudici, mentre oggi, sotto la sua regia, il Senato fa passare i giudici di Trump a un ritmo record. Nella campagna 2016, sostenne all’inizio Rand Paul, medico, libertario, senatore junior del suo Stato, uno senza chances di ottenere la nomination. Ritiratosi Paul, McConnell s’affiancò a Trump; e lì è rimasto, pretoriano fedele e talora maltrattato.
Non adesso, però, perché il presidente ha bisogno di lui, che dovrà essere al Senato quello che Nancy Pelosi, 79 anni, è stata alla Camera (ma in modo antitetico): il regista del processo, che mirerà a condurre in porto in modo indolore per il suo boss nel tempo più breve possibile. Sposato due volte, tre figli dalla prima moglie – la seconda è Elaine Chao, che è stata ministro del Lavoro con Bush jr ed è ministro dei Trasporti con Trump -, battista ma non bigotto, parecchio ricco, McConnell avrà il compito facilitato dalla diffusa percezione che l’impeachment sia un boomerang per i democratici: nessuno crede che il Senato sfiduci il presidente e, quindi, quasi nessun senatore repubblicano esce allo scoperto contro l’uomo che di qui a novembre darà le carte delle candidature.
Per il momento, comunque, Trump, che voleva finire nei libri di scuola come un presidente migliore di Abramo Lincoln, s’è conquistato l’umiliante titolo di terzo presidente Usa messo in stato d’accusa con la procedura di impeachment. Prima di lui andarono a giudizio solo Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998, entrambi assolti. Richard Nixon, invece, si dimise nel 1974 prima di essere formalmente rinviato a giudizio – lui sarebbe stato quasi certamente condannato -.
Due i capi di imputazione contestati a Trump: abuso di potere per le pressioni sull’Ucraina perché aprisse un’inchiesta sul suo principale rivale nella corsa alla Casa Bianca Joe Biden – bloccando aiuti militari per 391 milioni di dollari già stanziati dal Congresso – e ostruzione alla giustizia, negando al Congresso testimoni e documenti.
I deputati hanno votato rispettando la disciplina di partito, con una o due eccezioni: 230 democratici a favore, 197 repubblicani contro. Una curiosità: Tulsi Gabbard, deputata delle Hawaii, candidata alla nomination democratica a Usa 2020, ha votato ‘presente’ invece che ‘sì’.
La giornata dopo il voto è stata dedicata alle reciproche invettive. La palla l’ha la Pelosi: tocca a lei decidere quando passarla al Senato, quindi a McConnell. Trump e i repubblicani vogliono liberarsi in fretta della rogna dell’impeachment; i democratici chiedono garanzie che il processo non diventi una farsa. Il presidente twitta, Mitch negozia.