“Se ci fu quid pro quo? La risposta è sì”: Gordon Sondland, il rappresentante degli Usa presso l’Ue, teste chiave nell’inchiesta sull’impeachment del presidente Donald Trump, non usa perifrasi. Ma aggiunge: “Trump non mi ha mai detto direttamente che gli aiuti militari a Kiev erano subordinati” all’apertura di un’indagine per corruzione sui Biden, padre e figlio. Però, “era chiaro a tutti che c’era un legame”, lui lo aveva intuito in base a una sua deduzione, come “due più due fa quattro”, ma lo sapevano pure il vice-presidente Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo.
Linguaggio poco diplomatico – del resto, lui non lo è di carriera -, Sondland spiega di avere deciso di deporre, “nonostante il divieto della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato”, perché “riconosco la gravità del momento”.
Poi dice alla Commissione Intelligence della Camera che Rudy Giuliani, l’avvocato del presidente e l’artefice della diplomazia parallela con l’Ucraina, parlava per conto di Trump. E conferma quanto già asserito da altri testimoni: di avere chiamato il presidente da un ristorante di Kiev per dirgli che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “è un lecca culo, farà qualunque cosa tu voglia”. Proprio così? “E il modo in cui io e Trump comunichiamo. Un sacco di parole di quattro lettere”, tipo ‘fuck’, risponde ridendo.
Quella telefonata, dopo la quale Sondland disse a chi era con lui che al presidente dell’Ucraina interessava solo l’indagine sui Biden, avvenne il giorno dopo la conversazione del 25 luglio tra Trump e Zelensky: non era classificata e, quindi, non importava granché se fosse stata intercettata
Questa volta, Trump non twitta in diretta e non commenta a braccio. Legge una nota scritta: “Non volevo nulla dall’Ucraina: è tutto qui, è tutto finito”. Poi, sembra prendere le distanze da Sondland, un grande donatore della sua campagna e una sua nomina: “Non lo conosco molto bene, ma sembra una persona simpatica”.
Intanto, sono quasi pronti i rapporti sui presunti abusi compiuti nel 2016 ponendo sotto sorveglianza la campagna di Trump e sugli eccessi del Russiagate, di potere e di spesa. Michael Horowitz, ispettore generale del Dipartimento della Giustizia, presenterà il suo lavoro mercoledì 11 dicembre, alla Commissione Giustizia del Senato.