Le Colline Nere non erano mai state così nere. Le Black Hills, Paha Sapa nella lingua dei Lakota, cioè degli Sioux, corrono dal South Dakota fino al Wyoming. Si chiamavano così perché viste da lontano apparivano scure, tanto la vegetazione era fitta. Ora, sono nere di petrolio: la Keystone XL, la contestatissima pipeline che Barack Obama aveva bocciato, che Donald Trump ha ri-autorizzato e che le tribù della regione hanno inutilmente tentato di bloccare, ha disperso quasi 400 mila galloni di petrolio nella Contea di Walsh nel North Dakota, l’equivalente di un milione e mezzo di litri.
Non è la prima volta che accade. Nel 2017, l’oleodotto aveva già lasciato fuoriuscire oltre 400 mila galloni nel South Dakota. E da quando l’impianto funziona, cioè da dieci anni, è la quarta volta che si viene a sapere di una fuga. Un disastro “prevedibile”, secondo Greenpeace, che considera a priori il trasporto di carburanti fossili un rischio e che valuta che le fuoriuscite di petrolio negli Stati Uniti hanno fatto, negli ultimi dieci anni, 20 morti, 35 feriti, 2,6 miliardi di dollari di danni e disperso nell’ambiente 34 milioni di galloni. L’incidente ha provocato la chiusura temporanea dell’impianto.
Come se le maledizioni degli indiani sulla pipeline avessero colpito nel segno. Eppure i presidenti degli Stati Uniti dovrebbero avere capito l’antifona, da quando la maledizione del capo Tecumseh, pronunciata nella prima parte del XIX Secolo, se n’è portati via sette di fila.
Non è chiaro quando il petrolio abbia iniziato a fuoriuscire nella Contea di Walsh e quante ore, o giorni, siano passati da quando si è verificata la perdita alla chiusura dell’impianto. La società che gestisce l’oleodotto, la TC Energy, ha dichiarato di averlo chiuso subito dopo avere rilevato un calo di pressione una settimana fa, ma la perdita aveva ormai interessato un’area di circa 2000 mq. “Abbiamo attivato le procedure di emergenza e inviato i nostri tecnici per valutare la situazione”: l’azienda sostiene di non avere rilevato danni alla fauna.
La Keystone XL è una rete di oleodotti destinata a trasportare 500 mila barili al giorno di greggio dall’Alberta in Canada alle raffinerie del Midwest, negli Usa: attiva dal 2010, la rete è in fase d’ampliamento, ma, nonostante il parere favorevole dell’Amministrazione federale, la TC Energy fatica a ottenere i permessi. E’ di pochi giorni fa il parere negativo di un’autorità tribale locale, perché l’ampliamento devierebbe le acque dei fiumi Cheyenne, White e Bad e disturberebbe le attività quotidiane di caccia e pesca della tribù Yankton Sioux che vive nell’area.
Sull’ambiente, Trump, se possibile, ha fatto peggio che sui migranti o sugli accordi di disarmo, denunciati e non rispettati: dall’uscita dall’Accordo di Parigi contro il cambiamento climatico all’autorizzazione alle trivellazioni nell’Artico, dalla cancellazione o riduzione delle aree protette dei Parchi nazionali all’autorizzazione dell’ampliamento del Keystone.
Eppure, gli Sioux erano scesi sul piede di guerra. Nel febbraio del 2017, a Cannon Ball, c’è stata una battaglia meno epica di quella del Little Big Horn: gli indiani l’avevano persa, ma la guerra va avanti e l’esito resta incerto, perché ambientalisti e una buona fetta dell’opinione pubblica sono dalla loro.
Cannon Ball sta nel North Dakota, mille miglia a Est di Little Big Horn, nel Montana: lì era stato montato, nell’estate del 2016, un campo, per protestare contro la realizzazione di un braccio dell’oleodotto, il Dakota Access, che attraversa terre sacre alla tribù Sioux, dentro la grande riserva di Standing Rock. Bloccata da Obama, l’opera era stata autorizzata da Trump; e le corti federali avevano respinto i ricorsi d’urgenza. Ci furono arresti – una decina -, alcune tende furono incendiate, ma non ci furono scontri con le forze dell’ordine, né feriti.
L’operazione di polizia era stata preceduta da un ultimatum. Molti manifestanti se n’erano andati, senza opporre resistenza: ne erano rimasti poche decine. Il governatore dello Stato Doug Burgum aveva dato una spiegazione ecologica dell’autoritario repulisti: evitare che i corsi d’acqua dell’area fossero contaminate dai rifiuti del campo trascinati via dalle forti piogge in arrivo. L’inquinamento da oleodotto preoccupa evidentemente meno, anche se la causa dei Sioux è stata sposata da politici e investitori progressisti, che chiedono alle banche che finanziano il progetto (17, e c’è pure Intesa San Paolo) d’abbandonarlo.
Sul banco degli imputati, non c’è solo Trump, che ha smantellato molte misure verdi di Obama, ma anche il premier canadese, il giovane, glamour, verde e progressista Justin Trudeau, appena rieletto: Trudeau ha sì introdotto la carbon tax, ma è un paladino del Keystone XL e pure della pipeline che collega la costa del Pacifico all’Alberta.
L’ultima mossa degli indiani e degli ambientalisti, che sa di carta della disperazione, è stata quella di sollecitare i candidati alla nomination democratica per Usa 2020 a impegnarsi a rovesciare “l’imprudente e unilaterale decisione del presidente Trump” e a bloccare “la Keystone XL”.