Putin batte Trump 150 a 120. Al borsino di Erdogan, Putin vale 150 ore di tregua sul fronte curdo, più delle 120 concesse al presidente Usa. Ieri a Soci, in Crimea, Turchia e Russia hanno raggiunto un accordo per una nuova tregua nel Nord-Est della Siria, fino al 29 ottobre: obiettivo, completare l’evacuazione delle milizie curde dello Ypg da una fascia di 30 km dal confine tra Turchia e Siria.
E’ il principale risultato del colloquio a Soci, che è stato “lungo” e “complesso”, tra i presidenti russo Vladimir Putin e turco Recep Tayyip Erdogan, alla ricerca d’una via d’uscita dal conflitto scatenato nel Nord-Est della Siria dall’invasione turca scattata il 9 ottobre. Quasi contemporaneamente, si completava il ritiro dalla zona di sicurezza alla frontiera turco-siriana delle forze curdo-siriane, previsto dall’accordo di tregua turco-americano.
La scorsa settimana, ricevendo ad Ankara il vice-presidente Usa Mike Pence, il segretario di Stato Mike Pompeo e il consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O’Brien, Erdogan aveva accettato una tregua di 120 ore.
Ora, le armi continueranno a tacere sul fronte, anche se il cessate-il-fuoco non è mai stato rispettato al 100 %. Putin ed Erdogan hanno pure convenuto che, a partire dalle 12.00 di oggi, Russia e Turchia pattuglino insieme fino a 10 km dentro il territorio siriano, senza però toccare Qamishli, principale città curda dell’area. Le posizioni raggiunte dall’operazione turca Fonte di Pace tra Tal Abyad e Ras al Ayn resteranno congelate, fino a 32 km di profondità dentro il territorio curdo.
Alla fine dell’incontro di Soci, Putin non nasconde la soddisfazione: parla di decisioni “di rilievo” per la Siria, sente che il ritiro degli americani dalla zona di guerra deciso da Donald Trump e l’esito dell’incontro con Erdogan rafforzano la posizione della Russia in Siria e nel Medio Oriente, mentre gli Stati Uniti s’eclissano.
Eppure, la posizione di partenza russa, spiegata dal vice ministro degli Esteri Oleg Syromolotov, era che l’offensiva turca anti-curdi viola l’integrità territoriale della Siria: “Solo Russia e Iran – spiegava Syromolotov – mantengono una presenza” militare “legale” in Siria, “con l’autorizzazione siriana”. Anche la posizione di partenza turca era ferma: “Se i curdi non se ne vanno, li elimineremo”.
Russia e Iran, insieme alla Turchia, sono protagonisti del processo di pace di Astana, un percorso per una soluzione politica del conflitto siriano, che è finora sfociato nell’individuazione di zone d’influenza in Siria per ciascun Paese.
Accogliendo l’ospite a Soci, Putin aveva osservato che la situazione nell’area è “molto critica”, auspicando che “il livello raggiunto nelle relazioni tra Russia e Turchia” servisse a “risolvere tutte le questioni difficili oggi esistenti nella regione”. Secondo il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, la Russia voleva “discutere la situazione nel Nord-Est della Siria in modo da capire meglio gli eventi, avere informazioni sui piani della Turchia e confrontarli con i programmi generali per la promozione d’una soluzione politica” della crisi siriana.
Il Cremlino non bocciava neppure la proposta della Germania per una zona di sicurezza nel Nord-Est della Siria controllata dalle forze internazionali, con il coinvolgimento di Russia e Turchia. Ci sono stati finora 775 curdi “neutralizzati”, secondo l’ultimo bollettino di guerra turco.
Una preoccupazione di Putin è che “terroristi, compresi quelli del sedicente Stato islamico, l’Isis, non profittino delle azioni delle forze armate turche”. I miliziani integralisti catturati e disarmati sono prigionieri dai curdi e, negli ultimi dieci giorni, hanno cercato d’evadere dalle loro carceri, talora con successo.
Analisti americani, citati dal New York Times, affermano che la decisione di Trump di fare arretrare le truppe nel Nord-Est della Siria favorisce una rivitalizzazione dell’Isis, che avrebbe ancora almeno 18mila miliziani tra l’Iraq e la Siria, secondo le stime del Pentagono. E’ improbabile che l’Isis riconquisti il controllo di territori, ma l’autoproclamato Califfato resta una minaccia, con focolai d’insurrezione clandestini.