Rudy Giuliani è una mina vagante alla Casa Bianca: dove fa, sbaglia, si caccia nei guai e – quel che è peggio – mette nei guai il suo capo, Donald Trump. L’avvocato personale del magnate presidente, ex sceriffo e sindaco di New York, cercò a più riprese di indurre Trump a consegnare alla Turchia Fethullah Gulen, un predicatore turco, che il presidente Recep Tayyip Erdogan considera il suo peggior nemico e l’ispiratore del presunto colpo di stato sventato nel luglio 2016.
Nell’estate 2018, Trump e Erdogan giunsero ai ferri corti perché la Turchia teneva agli arresti, prima in carcere e poi ai domiciliari, un missionario evangelico, il pastore Andrew Craig Brunson, con l’accusa di essere coinvolto nel golpe del 2016. Erdogan voleva ‘scambiarlo’ con Gulen, che vive in Pennsylvania in volontario esilio. Alla fine, Brunson poté tornare a casa e Gulen restò dove tuttora è.
Di lì a qualche tempo, Giuliani progettò un altro scambio: Gulen in cambio d’un suo cliente, Reza Zarrab, un uomo d’affari turco-iraniano, accusato di maneggi per aggirare le sanzioni contro l’Iran. Nel ricostruire la vicenda, il Washington Post e il New York Times raccontano che Giuliani definiva Gulen “un estremista violento”, che avrebbe dovuto affrontare la giustizia nel suo Paese.
La definizione di Gulen data da Giuliani richiama il linguaggio del generale Michael Flynn, quando faceva di nascosto il lobbista per Erdogan mentre partecipava alla campagna di Trump nel 2016, prima di divenirne il primo consigliere per la Sicurezza nazionale – durò solo tre settimane, travolto dal Russiagate e dalle rivelazioni sul suo ‘doppio gioco’ -.
Contattato dal NYT, Giuliani ha detto: “Che c’entro io con Gulen? Cercavo solo una via d’uscita per il mio cliente! C’è gente che cerca di screditarmi”. E, infatti, alla Casa Bianca, qualcuno sospettò che lui fosse sul libro paga del governo turco, vedendolo così ansioso di ottenere l’estradizione del predicatore.
Le rivelazioni indeboliscono ulteriormente la posizione di Giuliani, che si rifiuta di testimoniare nell’istruttoria per l’impeachment di Trump condotta dalla Camera e che non intende consegnare nessun documento alle commissioni inquirenti. Anche la via delle dimissioni, evocata per togliere d’imbarazzo l’Amministrazione, è difficile da percorrere, perché Giuliani, da privato cittadino, avrebbe meno possibilità di evitare le audizioni.
Proprio ieri, è stato arrestato un terzo cliente dell’avvocato Giuliani, David Correia, bloccato all’aeroporto JFK di New York. Una settimana fa, erano stati arrestati altri due clienti di Giuliani, Lev Parnas e Igor Fruman: tutti e tre sono sospettati di avere violato le regole sui finanziamenti delle campagne elettorali, a favore di Trump e dei repubblicani. Ma Parnas, Fruman e Correia avrebbero pure aiutato Giuliani a esercitare pressioni sull’Ucraina per la riapertura di un’inchiesta su Hunter Biden, il figlio dell’ex vice di Barack Obama, Joe, candidato alla nomination democratica per Usa 2020
S’è intanto saputo che John Bolton, un ex consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, silurato da Trump a settembre – o dimessosi, le versioni divergono -, manifestò con veemenza disagio per l’attivismo di Giuliani nel fare pressioni sull’Ucraina. Bolton ne parlò con l’allora consigliere per gli Affari europei e russi del presidente, Fiona Hill, suggerendole di allertare i legali della Casa Bianca, e disse che Giuliani era “una bomba a mano” che, esplodendo, avrebbe fatto saltare tutti in aria.
A raccontarlo, è stata la stessa Hill, durante la sua testimonianza a porte chiuse alla Camera, ricostruendo anche un diverbio tra Bolton e l’ambasciatore Usa presso l’Ue Gordon Sondland, accusato di essere in combutta con Giuliani per raccogliere materiale compromettente sui Biden e sui democratici.
La Hill lasciò l’incarico pochi giorni prima della telefonata incriminata tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ha anche riferito le circostanze dell’allontanamento dall’incarico dell’ambasciatrice a Kiev Marie Yovanovitch, percepita come un ostacolo alle mene politiche di Trump e del suo staff.
In un’intervista alla Abc, Hunter Biden ha ammesso che non sarebbe stato probabilmente chiamato nel Consiglio d’Amministrazione di una azienda energetica ucraina se non si fosse chiamato Biden, ma ha respinto le illazioni che lui e suo padre abbiano fatto qualcosa di male.