L’aggressione della Turchia ai curdi induce l’Ue all’unità sul blocco dell’export di armi ad Ankara, mette i brividi alla Nato, dà una scossa all’Onu, che resta però paralizzata, e pone forse definitivamente fuori gioco nella Regione gli Usa, che, ritirandosi, consegnano la Siria a una spartizione in zone d’influenza tra Turchia e Russia e Iran, già avviata con il processo di Astana e ora non più contrastata sul terreno. L’effetto è così brusco che, nei circoli diplomatici mediorientali e occidentali, qualcuno pensa che fosse calcolato.
Le prime sanzioni Usa, annunciate con fanfare di tweet da Donald Trump e dal segretario al Tesoro Steven Mnuchin sono pronte: scattano “appena il presidente lo decide” – sono poi state effettivamente annunciate nella notte europea tra il 14 e il 15 ottobre, ndr -. Le misure iniziali riguarderanno singole persone: non saranno quindi “devastanti” per Ankara, come le aveva definite il magnate showman.
A Lussemburgo, i ministri degli Esteri dei 28 – c’è pure, forse per l’ultima volta in questa formato, la Gran Bretagna – condannano “l’azione militare della Turchia, che mina seriamente stabilità e sicurezza di tutta la Regione” e sollecitano “l’impegno degli Stati membri a posizioni nazionali forti sull’export di armi alla Turchia”, avallando in pratica il blocco delle vendite. L’Italia è fra quanti più spingono in questa direzione.
L’Austria chiede che sia cancellato il processo di adesione all’Ue alla Turchia, che è, ormai da anni, ‘in sonno’: un binario morto. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che oggi riferire in Parlamento su quanto deciso in sede Ue, chiede di andare avanti “con il dialogo e con la diplomazia” e annuncia che l’Italia ha deciso di bloccare l’export di armi alla Turchia, come hanno già fatto Francia e Germania, tutti i Paesi Scandinavi e Nordici, l’Olanda e come intende fare la Spagna. Le esitazioni ungheresi e bulgare e i freni britannici vengono alla fine superati.
Nelle conclusioni della riunione si chiede un “incontro ministeriale della Coalizione internazionale contro” il sedicente Stato islamico: ne fanno parte sia gli Usa che la Turchia, che in Siria ha i piedi in tutte le scarpe. Federica Mogherini, la responsabile della politica estera e di sicurezza europea, è convinta che le posizioni dell’Ue non passeranno inosservate ad Ankara: questo è poco ma sicuro, anche se il blocco dell’export di armi non avrà un impatto immediato sugli arsenali turchi.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan accusa di “ipocrisia” i Paesi Ue che sono pure Nato. E Jens Stoltenberg, il segretario generale dell’Alleanza atlantica, invita a non minare l’unità alleata nella lotta contro l’Isis. Sull’Ue, c’è sempre la spada di Damocle del ricatto di Ankara: potrebbe lasciare partire verso l’Europa i profughi siriani la cui custodia le è stata affidata, dietro compenso, nel 2016.
Meno limpido il linguaggio dei 28 su un altro fronte di contenzioso turco-europeo, le trivellazioni della Turchia a Cipro, in acque che Ankara rivendicano alla sedicente Repubblica turco-cipriota, non riconosciuta da nessun Paese eccetto la Turchia. L’Ue decide la creazione di “un regime quadro di misure restrittive nei confronti delle persone fisiche e giuridiche responsabili o coinvolte nell’attività di trivellazione illegale di idrocarburi nel Mediterraneo orientale”. Ma non c’è nulla d’operativo: bisogna elaborare il ‘regime quadro’ e approvarlo.
Qualche incrinatura si manifesta nel fronte arabo anti-turco: il Marocco non firma le conclusioni della Lega araba di condanna di Ankara.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres è “seriamente preoccupato” dagli sviluppi militari nel Nord-Est della Siria e “continua a sollecitare la massima moderazione”: “qualsiasi operazione militare deve rispettare pienamente il diritto internazionale, compresa la Carta delle Nazioni Unite”. Guterres chiede un’ “immediata de-escalation”, ricorda che “i civili non belligeranti devono essere sempre protetti” , vuole “garantito un accesso umanitario senza ostacoli e sicuro per i civili”.
All’Ue e all’Onu, c’è il timore di una recrudescenza del terrorismo, perché “il rilascio involontario di persone associate all’Isis, con tutte le conseguenze che questo potrebbe comportare”.