“Fammi il favore: indaga su Joe Biden e suo figlio”: la frase detta dal presidente Usa Donald Trump al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nella galeotta conversazione telefonica del 25 luglio, non fu buttata lì per caso né fu detta inavvertitamente: c’era dietro tutto un lavoro di preparazione, e di pressione, che Kurt Volker, l’ex inviato speciale Usa per l’Ucraina, ha raccontato al Congresso, nella sua deposizione a porte chiuse di giovedì. Le dichiarazioni di Volker, dimessosi una settimana fa, la prima testa a cadere in questa vicenda, sono ricostruite dalla stampa Usa, mettendo insieme notizie filtrate da deputati e senatori presenti all’audizione.
E alcuni media, citando fonti vicine alla Casa Bianca, dicono che Trump parlò al presidente cinese Xi Jinping dei suoi rivali politici, in particolare Joe Biden ed Elizabeth Warren (ma non gli chiese d’indagare su di loro). In una telefonata con Xi a giugno, Trump si sarebbe pure impegnato a tacere sulle proteste di Hong Kong finché durano i negoziati sui dazi con la Cina: cosa che ha finora fatto. I dati della telefonata sarebbero custoditi nello stesso sistema elettronico per dati ‘top secret’ dov’era custodita la trascrizione della chiamata con Zelensky.
Volker è un docente della Arizona State University, per conto della quale è responsabile d’un centro studi intitolato a John McCain, il senatore repubblicano scomparso lo scorso anno, acerrimo rivale del magnate presidente. Secondo quanto da lui riferito, il team di Trump sapeva che le informazioni che stavano arrivando da fonti ucraine su Joe Biden e suo figlio Hunter, in affari con la Burisma, un’azienda energetica ucraina, non erano attendibili: ne era ben al corrente Rudy Giuliani, l’avvocato personale del presidente, che incontrò più volte, anche grazie a Volker, emissari ucraini.
Inoltre, dopo la telefonata del 25 luglio, Volker e il rappresentante Usa presso l’Ue Gordon Sonland scrissero, in accordo con Giuliani, una dichiarazione che il presidente ucraino avrebbe dovuto dare come propria, impegnandosi a indagare sui Biden e sulle presunte interferenze ucraine in Usa 2016 pro Hillary Clinton. E’ una tesi complottistica che Trump cavalca e cui apparentemente crede: che, cioè, il Russiagate sarebbe stato tutto una montatura democratica con complicità internazionali. Consegnata a un consigliere del presidente attore ucraino, Andrey Yermak, che era stato coinvolto nella stesura, la dichiarazione non venne mai rilasciata.
L’ex inviato speciale Usa per l’Ucraina, il primo teste chiamato a deporre nell’indagine per l’avvio d’una procedura d’impeachment contro il presidente Trump, ha consegnato al Congresso scambi di messaggi con suoi interlocutori: se ne ricava che i diplomatici statunitensi si chiedevano essi stessi se la Casa Bianca stesse organizzando una sorta di baratto con l’Ucraina, l’indagine sui Biden, e le informazioni che ne sarebbero derivate in cambio della ripresa degli aiuti militari da poco sospesi.
Una cosa era chiara a Washington e a Kiev: Trump non avrebbe mai concesso a Zelensky l’incontro da lui desiderato nello Studio Ovale, e gli aiuti attesi, se il presidente attore non si fosse impegnato a indagare sui Biden – ve n’é traccia negli sms di Volker -. La scorsa settimana, Trump ha incontrato Zelensky, ma a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La testimonianza di Volker ha ulteriormente compromesso la posizione del presidente, ma anche quella di suoi collaboratori di primo piano: il segretario di Stato Mike Pompeo, che fu testimone della telefonata del 25 luglio, e vari funzionari del Dipartimento di Stato, come l’ambasciatore Usa ad interim a Kiev Bill Taylor. Secondo il Wall Street Journal l’ambasciatrice Marie Yovanovitch era stata richiamata perché non era in sintonia con i tentativi dell’Amministrazione di convincere Zelensky a indagare sui Biden.
Dagli sms, emerge che Sondland preparò il presidente ucraino ai temi della telefonata con Trump e che Volker informò Yermak che la Casa Bianca avrebbe fissato la data per la visita di Zelensky se quest’ultimo avesse promesso di indagare sui Biden. Taylor espresse a Sondland i timori ucraini di diventare uno strumento della politica interna Usa. Sondland rispose di procedere: l’alternativa sarebbe stata peggiore.
Il piano di scambiare la dichiarazione di Zelensky con la visita alla Casa Bianca saltò quando Politico rivelò il blocco da parte di Trump di 250 milioni di aiuti militari a Kiev. “Ora stiamo dicendo che l’assistenza sulla sicurezza e la visita alla Casa Bianca sono subordinate alle indagini” sui Biden, scrisse Taylor preoccupato. “Penso sia folle condizionare l’assistenza per la sicurezza all’aiuto a una campagna politica”, aggiunse. Parole che sono un atto d’accusa per la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato.