Ogni tanto, ritornano. Anche perché non sono mai andati via e nessuno in Occidente s’è mai dato davvero da fare per cacciarli, nonostante Boko Haram dal 2009 abbia legato il suo nome a una teoria di stragi nel Nord della Nigeria e altrove nell’Africa sub-sahariana – soprattutto in Camerun, Ciad, Niger – con l’obiettivo di creare uno Stato islamico.
Il Califfato d’Africa non ha mai avuto la solidità territoriale del Califfato dell’Isis, il sedicente Stato islamico creato da Abu Bakr al-Baghdadi tra Siria e Iraq, ma non ha neppure mai subito un’azione di contrasto radicale come quella attuata contro i miliziani jihadisti.
I francesi, con il concorso di tedeschi e italiani e altri europei, hanno organizzato un argine militare all’integralismo islamico soprattutto tra Niger e Malì. Gli Stati Uniti se ne sono relativamente disinteressati, nonostante loro unità siano presenti nell’area e abbiano pure subito perdite.
Domenica, i terroristi islamici di Boko Haram sono tornati a colpire nel Nord della Nigeria, là dove la maggioranza della popolazione è islamica: a bordo di motociclette e con mitragliatrici pesanti montate su jeep e pickup, hanno fatto irruzione su un funerale, sparando sulla folla , uccidendo almeno 60 persone e ferendone decine. L’attacco è avvenuto in un villaggio nei pressi di Maiduguri, capoluogo dello stato settentrionale del Borno, nell’area di Nganzai.
E’ l’azione più sanguinosa orchestrata da Boko Haram dall’inizio dell’anno. Muhammad Bulama, presidente del consiglio dell’area di Nganzai, ha detto che l’attacco è avvenuto a mezzogiorno: si sarebbe trattato di una rappresaglia nei confronti degli abitanti del villaggio, che avevano respinto un attacco di Boko Haram due settimane or sono. Bunu Bukar, capo dell’Associazione dei cacciatori del Borno, ha raccontato scene di sangue e di orrore: vigilantes locali hanno cercato di reagire, ma gli attaccanti erano in forse e meglio armati.
Militarmente indebolitasi sul territorio nel 2016, anche per le divisioni interne, la sanguinaria setta ha ripreso vigore, grazie fra l’altro a innesti di miliziani jihadisti e di foreign fighters dopo la rotta dell’Isis in Medio Oriente, e ha avviato un’escalation d’azioni specie nei suoi ‘santuari’ tradizionali, nel nord-est della Nigeria.
La scorsa settimana è stato ricordato il trentesimo anniversario della nascita di Boko Haram, milizia fondamentalista capace di causare una delle più gravi crisi umanitarie al mondo. In dieci anni d’attività terroristica, Boko Haram (il nome, a seconda delle traduzioni, significa “Ciò che è straniero è impuro”, o “l’educazione occidentale è sacrilega”), ha ucciso decine di migliaia di civili, ha provocato almeno due milioni di sfollati, ha rapito centinaia di ragazze convertendole all’islam e facendone spose di combattenti, ha attaccato chiese e moschee e luoghi di raduno per il Ramadan e altre feste religiose cristiane e islamiche. L’Institute for Economic and Peace la indica dal 2015 come l’organizzazione terroristica più sanguinaria al mondo: fra le fonti di finanziamento, il riscatto per la liberazione di dipendenti sequestrati di aziende energetiche occidentali attive in Nigeria – capita anche a italiani e, in almeno un caso, l’epilogo fu tragico -.
Noto pure con il nome ufficiale di Gruppo sunnita per la propaganda religiosa e la Guerra Santa, Boko Haram è radicalmente ostile all’Occidente, visto come corruttore dell’Islam: nel 2015 strinse un’alleanza con l’Isis, saldata dall’odio per l’Occidente e dal rispetto della sharia. Nonostante smacchi, il gruppo continua a condurre una cruenta insurrezione contro le forze di sicurezza nigeriane e i civili, sfidando i tentativi del governo di annientarlo.
La struttura di Boko Haram è gerarchica e al suo vertice v’è un capo supremo. Ma talvolta il gruppo sembra agire come un insieme a rete di cellule indipendenti. È difficile stabilire quali siano i confini dell’organizzazione, quali attacchi siano ordinati dal vertice centrale e quali invece siano condotti da formazioni indipendenti. Il nucleo centrale opera come una forza di guerriglia, con battaglioni che vanno dai 300 ai 500 uomini. Il numero totale di miliziani è stimato tra 5000 e 9000, in gran parte porovenienti dal gruppo etnico Kanuri.
Dal 2002 al 2009, il gruppo è stato diretto dal suo fondatore Mohammed Yusuf. L’uccisione di Yusuf, ammazzato mentre era nelle mani della polizia, causò la sollevazione del gruppo e l’inizio della guerra civile. La leadership passò ad Abubakar Shekau, il braccio destro di Yusuf, che la tiene tuttora. Shekau è nato a Yobe, in Nigeria tra il 1965 e il 1975 ed è di etnia Kanuri, è sposato a una delle quattro mogli di Yusuf, parla diverse lingue locali. Oltre a essere il leader politico e militare dell’organizzazione, ne è anche la guida spirituale e tiene regolarmente sermoni ai suoi seguaci. Sotto la sua egida, il gruppo s’è allargato e s’è fatto più aggressivo.
Le reazioni occidentali alla strage del funerale nel Borno si sono limitate a dichiarazioni. “L’Ue – dice un portavoce – è unita al governo e alla gente della Nigeria nella lotta al terrorismo. Insieme, siamo decisi a continuare a promuovere e sostenere la cooperazione per sradicare il terrorismo in tutte le sue forme”.