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Cina/Russia: Xi e Putin mettono le mani sul Pacifico

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/07/2019

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Apparentemente irrilevante, un’intrusione aerea senza alcuna conseguenza nei cieli sud-coreani e giapponesi svela i piani di Pechino e Mosca di aprire un nuovo fronte nel contenzioso mai sopito con l’Occidente, e in particolare con gli Stati Uniti: il Pacifico. Nell’interpretazione di media e analisti americani, la violazione dello spazio aereo da parte di velivoli militari russi e cinesi era parte di un disegno preciso. La Cnn da Mosca è esplicita: “I presidenti russo Vladimir Putin e cinese Xi Jinping hanno mandato un messaggio chiaro: sono pronti a testare la loro partneship militare” e la capacità di reazione dei loro interlocutori nel Pacifico. Dove Mosca e Pechino hanno priorità e obiettivi diversi, anche territoriali – a nord, le Curili, oggetto del contendere tra Russia e Giappone; a sud, Taiwan e le Spratly, su cui la Cina avanza pretese -, ma identiche controparti: gli Stati Uniti e i loro alleati nella Regione, il Giappone e la Corea del Sud; le Filippine e, appunto, Taiwan.

Prima di tutto i fatti. All’alba di martedì, caccia sud-coreani e giapponesi si levano in volo perché nei loro cieli sono presenti aerei militari russi e cinesi che – si apprenderà poi – stanno compiendo manovre congiunte. Fonti sud-coreane affermano che due bombardieri cinesi H-6 hanno traversato l’area coperta dalla difesa aerea di Seul, seguiti da due bombardieri strategici russi Tu-95. Secondo lo Stato Maggiore sud-coreano, colpi d’avvertimento sono stati sparati verso un velivolo russo A-50 di comando e controllo, che avrebbe violato due volte lo spazio aereo sud-coreano.

Successivamente, il Ministero della Difesa giapponese avalla le affermazioni sud-coreane, affermando che un A-50 russo – lo stesso, è probabile – avrebbe penetrato lo spazio aereo di Tokyo, mentre bombardieri russi e cinesi volavano intorno al Giappone (l’isola sorvolata nell’incidente è contesa tra Corea del Sud e Giappone ed entrambi ne considerano proprio lo spazio aereo).

Mosca in un primo tempo contesta le affermazioni di Seul e Tokyo, denunciando, a sua volta, che caccia sud-.coreani avevano pericolosamente intercettato due suoi bombardieri nello spazio aereo internazionale. In un secondo tempo, ammette che i suoi aerei formavano una “pattuglia congiunta” con aerei cinesi a lungo raggio. E, infine, si scusa per l’incidente, salvo poi – è lo sviluppo più recente – rimangiarsi le scuse.

A questo punto, sorge una domanda: che significato, e che obiettivi, aveva l’esercitazione militare aerea congiunta russo-cinese? Mosca e Pechino hanno già “mostrato i loro muscoli militari” nella Regione l’anno scorso, quando la Russia ha organizzato le due manovre militari su più larga scala dalla caduta dell’Unione sovietica, con la partecipazione di migliaia di uomini cinesi e mongoli.

L’esercitazione, chiamata Vostok 2018, prese il via, non casualmente, durante un incontro bilaterale tra Putin e Xi a Vladivostok, la maggiore città russa sul Pacifico, lontana sette fusi orari da Mosca ‘l’europea’. E’ da Vladivostok che la Russia proietta il suo potere sull’Asia e sul Pacifico; ed è qui che Putin organizza ogni anno un Forum destinato a sottolineare il ruolo centrale che la Russia vuole giocare in Asia. Negli ultimi anni, inoltre, Pechino ha inviato sue unità navali nel porto russo, che è anche una base militare, per condurre manovre militari congiunte.

In una dichiarazione rilasciata dopo i sorvoli – non è tuttora chiaro se fortuiti o intenzionali, come danno per scontato i media Usa -, il Ministero della Difesa russo sottolinea proprio che l’operazione era la prima del genere attuata congiuntamente dalle aeronautiche militari russa e cinese. Obiettivo delle pattuglie congiunte è “approfondire e sviluppare le relazioni militari russo-cinesi, come parte d’una partnership complessiva, aumentando il livello d’interazione tra le forze armate dei due Paesi, incrementando la loro capacità di condurre azioni congiunte e rafforzando la stabilità strategia globale”. Una dichiarazione che l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti e i loro alleati, possono percepire più come una minaccia che come una rassicurazione.

Tanto più che l’incidente coincide con parole minacciose di Pechino verso Taipei, evocando l’uso della forza come strumento per riannettere l’isola rifugio della Cina nazionalista di Chian Kai-shek alla ‘madre patria’, in un cointesto di rapporti economici tesi tra Pechino e Washington e di relazioni complessive fredde tra Mosca e Washington. Molto ha magari a che fare con la personalità e i modi del presidente Usa Donald Trump, ma l’ipotesi non peregrina che Trump resti alla Casa Bianca fino al 2024 può indurre Xi e Putin, il cui potere fin oltre quella data è sulla carta assicurato, a prendere contromisure e realizzare un’alleanza militare: in assoluto, non è un inedito nel dopo guerra, perché Cina e Urss e poi Russia hanno alternato fasi di alleanza e fasi di confronto, anche di belligeranza.

Nei confronti della Cina, il Pentagono ha poi lanciato di recente allarmi: lungo i percorsi della Belt and Road Initiative, quella che noi chiamiamo la Nuova Via della Seta, Pechino starebbe dotandosi di basi e avamposti militari, non solo per proteggere i propri investimenti, ma anche per affermarsi come attore globale.

Russia e Cina non hanno fra di loro un patto di mutua difesa, del tipo di quello che gli Stati Uniti hanno con il Giappone o con i Paesi della Nato. Ma le esercitazioni di terra, di mare e di aria condotte testano la “inter-operatività” delle loro forze e la capacità di agire insieme. Putin e Xi, che si sono incontrati più volte, hanno costruito una forte relazione personale: la Cina è uno sbocco dell’energia russa frenata dalle sanzioni occidentali; la Russia sta con la Cina nella ‘guerra dei dazi’ con gli Usa; e i due Paesi appoggiano l’Iran nel contenzioso nucleare (e non solo) con gli Stati Uniti.

Secondo Artyom Lukin, un analista della Far Eastern Federal University citato dalla Cnn, Mosca e Pechino stanno costituendo “una quasi alleanza”: per lui, l’incidente di martedì sarebbe stato intenzionale, per “mandare un messaggio a Seul, Tokyo e Washington”, mostrare la capacità d’operare insieme e testare le capacità di reazione altrui.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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