Il dubbio, d’essersi messo alla Casa Bianca un Dottor Stranamore da strapazzo, venne un mese fa anche a Donald Trump, che si lamentò in pubblico di quel consigliere per la Sicurezza nazionale che lo spingeva alla guerra con l’Iran. A Teheran, il dubbio è certezza: John Bolton “è ossessionato” dall’Iran, mostra un’ostilità “anormale” e promuove una propaganda anti-iraniana fondata su falsità.
A maggio, Trump aveva frenato il segretario alla Difesa ad interim Patrick Shanahan, che, su input di Bolton, gli proponeva di rafforzare lo spiegamento di truppe nel Golfo; ieri, ha dato via libera all’invio di mille uomini nel Golfo, dopo che Teheran aveva annunciato che avrebbe violato, entro il mese, i limiti di uranio blandamente arricchito postigli dall’accordo sul nucleare del 2015.
I rinforzi si sommano a un altro invio di 1.500 uomini già deciso. Le truppe – dice il Pentagono – avranno soprattutto compiti di sorveglianza e di protezione dei militari operativi nella Regione. E Mike Pompeo, segretario di Stato, ricorda che “il presidente non vuole la guerra con l’Iran”.
Che ci sia un po’ di confusione a Washington e, probabilmente, di tiramolla fra falchi e colombe lo conferma l’annuncio, a sorpresa, che Shanahan non diventerà segretario alla Difesa: dopo sei mesi Trump lo scarica e sceglie Mark Esper, segretario all’Esercito, per rimpiazzare James ‘cane pazzo’ Mattis, dimessosi a dicembre perché in disaccordo con le scelte mediorientali della Casa Bianca.
Succede al culmine dell’ennesima giornata di tensioni tra Washington e Teheran, mentre Russia e Cina, gli europei e l’Onu cercano di gettare acqua sul fuoco e di smorzare i toni. Secondo il NYT, gli sviluppi registratisi nell’ultimo anno, dopo l’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare con l’Iran e il fallimento del Vertice di Hanoi con il presidente nordcoreano Kim Jong-un, sono uno smacco per Trump: arrivato alla presidenza per risolvere le tensioni nucleari con l’Iran e la Corea del Nord, deve ora affrontare sfide analoghe a quelle sostenute dai suoi predecessori.
Le tensioni con la Corea del Nord sono al momento sotto traccia: potrebbe ravvivarle o stemperarle l’imminente visita a Pyongyang del presidente cinese Xi Jinping, che forse cercherà di rivitalizzare il progetto di disarmo nucleare della penisola coreana tratteggiato da Trump e Kim a Singapore un anno fa.
Quelle con l’Iran sono acute. Spiegando l’invio dei rinforzi nel Golfo, Shanahan ha detto: “I recenti attacchi iraniani confermano le informazioni d’intelligence che abbiamo ricevuto sull’atteggiamento ostile delle forze iraniane, che minacciano il personale e gli interessi americani nell’area”. Il Pentagono ha pubblicato nuove foto dell’attacco della scorsa settimana a due petroliere nel Golfo dell’Oman.
Il teorico del pugno di ferro con l’Iran è Bolton, ‘super-conservatore’ di lungo corso, finito un po’ nel dimenticatoio e richiamato in servizio, nel 2018, come Consigliere per la Sicurezza nazionale. Mentre stava in panchina, Bolton creò un comitato politico e ingaggiò la Cambridge Analytica nell’agosto 2014, pagandole circa 1,2 mln di dollari nei due anni successivi. Che uso abbia poi fatto dei dati ottenuti con la complicità più o meno consapevole di Facebook non è chiaro. Ma di chiaro, nei percorsi di Bolton, c’è ben poco.
I baffoni spioventi, apparentemente ispidi e incolti, sale e pepe già una vita fa, gli coprono in parte la faccia rotonda, dietro cui si trincera il sorriso nervoso e grintoso di uno dei più bruschi e aggressivi diplomatici americani: John Bolton è tutto questo e poco più, fin da quando George W. Bush lo fece sotto-segretario di Stato e lo mandò poi a rappresentare gli Usa all’Onu. Una nomina che il presidente dovette imporre al Senato, che non l’avrebbe mai approvata.
Di Bolton, s’è scritto: “Se il presidente Trump cercava un consigliere per la Sicurezza nazionale adeguato al suo atteggiamento drastico e incline al confronto, ha trovato la persona giusta”. E, infatti, in 15 mesi, Bolton ha già invocato un’azione militare contro la Corea del Nord, ha definito l’accordo nucleare con l’Iran “un massiccio smacco strategico” e ha avviato un ‘cambio di regime’ in Venezuela. Fortuna che, finora, i suoi propositi più bellicosi sono rimasti lettera morta.