Un tweet li materializza, un tweet li dissolve: funziona con i dazi, nei confronti del Messico; come funziona con le sanzioni – le ultime, nei confronti dell’Iran -. Sei ore dopo averli confermati, Donald Trump annuncia la sospensione a tempo indeterminato dell’entrata in vigore dei dazi sull’import messicano, che dovevano scattare domani. Gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo con il Messico che prevede – dice soddisfatto il magnate presidente – “forti misure per arrestare il flusso di migranti attraverso il Messico verso il confine meridionale” dell’Unione.
Meglio così, per l’economia messicana e per quella statunitense, che avrebbe subito il contraccolpo dei dazi. Quanto ai migranti, la loro strada dal Sud del Continente verso gli Stati Uniti è sempre più in salita.
Come sono sempre più tese le relazioni tra Washington e Teheran. L’Amministrazione Trump, che ha denunciato l’accordo sul nucleare concluso nel 2015 e che ha reintrodotto e inasprito le sanzioni a suo tempo levate, ha ora colpito il maggiore gruppo petrolchimico iraniano (e uno delle più grandi in Medio Oriente), la Persian Gulf Petrochemical Industries Company, perché sosterrebbe il corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, i Pasdaran. Le penalizzazioni riguardano pure 39 tra aziende ed agenzie collegate al gruppo, che detiene il 40% della produzione e gestisce il 50% dell’export petrolchimico iraniano. Un’altra tessera del mosaico anti-iraniano della politica estera di Trump.
Che i negoziati Usa – Messico, affidati al segretario di Stato Mike Pompeo e al ministro degli Esteri Marcelo Ebrard, avessero preso una buona piega, lo si era capito a Washington venerdì pomeriggio, quando il presidente twittava: “Se daremo un accordo col Messico, e c’è una buona chance che ci riusciamo, allora cominceremo subito ad acquistare prodotti agricoli in gran quantità”. Altrimenti, “il Messico inizierà a pagare le tariffe al 5% da lunedì!”. Bastone e carota, anzi carota e bastone.
Ancora qualche ora e, quando in Italia era l’alba di sabato, Trump dava l’annuncio: “Sono felice” che abbiamo chiuso un’intesa con il Messico. “I dazi sono quindi sospesi a tempo indeterminato … Il Messico, in cambio, ha accettato di prendere misure forti per arrestare il flusso di migranti verso il nostro confine meridionale. Questo sarà fatto per ridurre di molto, o eliminare, l’immigrazione illegale proveniente dal Messico verso gli Stati Uniti”.
Poco più tardi, il Dipartimento di Stato e l’ambasciatore messicano negli Stati Uniti Martha Bárcena diffondevano dettagli dell’accordo: il Messico rafforzerà l’applicazione delle sue leggi sui migranti e fornirà opportunità di lavoro alle persone che attendono la conclusione dell’iter della loro richiesta di asilo; gli Stati Uniti amplieranno il programma per rimandare in Messico chi chiede asilo, nell’attesa che la sua richiesta sia vagliata; e il Messico schiererà da domani la guardia nazionale lungo il confine meridionale con il Guatemala, per fronteggiate il flusso di migranti verso gli Usa, provenienti anche dall’Honduras. Le due parti continueranno a discutere ulteriori passi da prendere, nei prossimi 90 giorni.
Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador aveva già disposto l’invio di 6.000 uomini al confine con il Guatemala, mentre le autorità messicane stanno cercando di bloccare una carovana di circa 1.000 migranti provenienti dal Guatemala, entrati in Messico con l’obiettivo di raggiungere la frontiera degli Stati Uniti. L’azione si svolge nello Stato del Chiapas – un mito degli Anni 80 -, nella zona di Metapa, a 15 chilometri da Tapachula,. I migranti sono partiti dalla città guatemalteca di Tecún Umán e sono entrati in Messico attraverso il ponte internazionale Rodolfo Robles: si tratta di verificare se hanno i documenti in regola per transitare sul territorio messicano.
Il segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin giudica l’intesa su immigrazione e dazi “molto, molto significativa”. Munchin, che era al G20 dei ministri delle Finanze a Fukuoka in Giappone – forum cui partecipa pure il Messico -, è soprattutto sollevato dalla rinuncia ai dazi, che avrebbero pesato sull’economia statunitense – molte imprese Usa producono in Messico e vendono nell’Unione -. Si calcola che i dazi sarebbero costati al settore auto per 34 miliardi di dollari, a quello dei camion e dei bus altri 34 miliardi, a quello del petrolio oltre 14 miliardi e all’agroalimentare altrettanto. Resta adesso da vedere che piega prenderà la guerra dei dazi con la Cina, molto più pesante.
Il presidente messicano López Obrador, che non ha mai dato eco alle sortite di Trump, aveva già indetto ieri a Tijuana, alla frontiera con gli Stati Uniti, un evento pubblico per “difendere la dignità del Messico ed a favore dell’amicizia con il popolo degli Stati Uniti”. L’appuntamento è divenuto una celebrazione dell’intesa: c’erano governatori, parlamentari federali e locali, sindacalisti, imprenditori, leader religiosi, giudici, militanti politici e cittadini comuni.