Un colpo al cerchio e uno alla botte. Assediato da democratici, media, inchieste sul fronte interno, Donald Trump torna a fare la voce grossa con la Cina, poche ore prima della ripresa dei negoziati tra i due giganti dei commerci mondiali: Pechino “ha rotto l’accordo” e “la pagherà”, con un rialzo dei dazi dal 10 al 25% su export cinese per 200 miliardi di dollari. Ma poi Trump aggiunge “Non preoccupatevi … tutto si risolverà”.
Le nuove tariffe dovrebbero scattare alla mezzanotte di oggi (ora di Washington), le sei del mattino di sabato in Italia. Il mese di maggio ha portato un brusco e imprevisto peggioramento del clima tra Usa e Cina. Prima di Pasqua, i negoziati parevano andare bene e lo stesso Trump aveva più volte dato per imminente una visita negli Stati Uniti del presidente cinese Xi Jinping: obiettivo, trasformare in pace l’armistizio concluso lo scorso autunno, a margine di un G20 in Argentina.
I fulmini di Trump, quasi a ciel sereno, avevano creato sconcerto sui mercati mondiali – gli asiatici, in particolare, hanno subito grosse perdite – e disagio e irritazione nel governo cinese, che non ha però cancellato la missione a Washington una delegazione guidata dal vice-premier Liu He – Liu, però, non viene più presentato come inviato speciale del presidente Xi -.
La Cina “è del tutto preparata” a una guerra commerciale con gli Stati Uniti, ma preferisce risolvere i problemi “con il dialogo piuttosto che con azioni unilaterali”, assicura il portavoce del ministero del Commercio Gao Feng. “Abbiamo la determinazione e la capacità di difendere i nostri interessi, ma speriamo che Usa e Cina possano incontrarsi a metà strada”. Certo, ci vogliono “sforzi da ambo le parti” e, al momento, non sembra che l’Amministrazione Trump sia pronta a farne.
L’arrivo di Liu a Washington “mostra la responsabilità della Cina” nel portare avanti le trattative e nel cercare di giungere a un’intesa e “dimostra la sincerità di Pechino”, contraria “a dazi unilaterali” e convinta che “non ci siano vincitori in una guerra commerciale”. Uno scontro frontale è “contro gli interessi di Cina e Usa e non porterà benefici ai popoli del mondo”. Parole condivise a Bruxelles da portavoce europei: le impennate di Trump potrebbero presto rivolgersi contro l’Ue, è il timore.
Sulle ipotesi già ventilata di “necessarie contromisure”, Gao taglia corto: “Daremo informazioni tempestivamente”. E’ ovvio che ci saranno, se scatteranno i super-dazi Usa.
Intanto, Pechino tira la giacca a Washington e ad Ottawa sulla vicenda di Meng Wanzhou, dirigente della Huawei, trattenuta da mesi a Vancouver, dopo esservi stata arrestata, perché gli Stati Uniti ne reclamano l’estradizione, accusandola di avere violato le loro sanzioni anti-Iran. La Meng è ieri comparsa in aula, in un’udienza per discutere la richiesta d’estradizione. Per la Cina, Usa e Canada “abusano dell’accordo bilaterale sulle estradizioni e prendono irragionevoli misure coercitive che costituiscono una grave violazione di diritti e interessi legittimi di un cittadino cinese”. Il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang parla di “grave incidente politico” e chiede che la Meng sia rilasciata e possa tornare in Patria.
Il Wall Street Journal avanza l’ipotesi che l’inasprimento delle relazioni Usa-Cina sia frutto fortuito di un fraintendimento fra le due parti. Ma c’è forse dell’ottimismo, in questa interpretazione.