Donald Trump dà il suo benvenuto nella corsa alla Casa Bianca allo ‘Sleepy Joe’, cioè a Joe Biden ‘il sonnolento’, ma anche – è quasi sottinteso, nel velenoso tweet – ‘che fa addormentare’. Trump ha ragione di essere contento che l’ex vice-presidente di Barack Obama per due mandati, ed ex senatore del Maryland per 36 anni, eletto la prima volta nel 1972 e rieletto a cinque riprese, abbia finalmente sciolto le riserve e annunciato d’essere in lizza. Il magnate lo considera un avversario facile o, almeno, abbordabile, se dovesse ottenere la nomination democratica.
Scrive Trump, con malizia questa volta arguta: “Spero che tu abbia l’intelligenza, a lungo in dubbio, d’intraprendere una campagna di successo nelle primarie. Sarà cattivo, dovrai affrontare persone che hanno davvero idee molto malate e demenziali. Se ce la farai, ci vedremo ai nastri di partenza!”, cioè all’inizio della campagna elettorale per Usa 2020, che partirà dopo le convention estive dei due maggiori partiti e andrà fino all’Election Day del 3 novembre.
In realtà, i primi sondaggi mostrano che, sonnolento o no, Biden è in fuga nella pletora di aspiranti alla nomination democratica ed è pure davanti a Trump in un testa a testa presidenziale. Secondo l’ultima rilevamento di Politico – Morning Consult, l’ex vice di Obama è 8 punti avanti il magnate, con il 42% delle preferenze contro il 34%. E secondo la media dei sondaggi del sito specializzato RealClearPolitics, Biden ha 6,3 punti di vantaggio su Bernie Sanders, finora il democratico più quotato.
Ma sono dati ‘drogati’ da due fattori: l’eco dell’annuncio nei media americani e la riconoscibilità sia di Biden che di Sanders a livello nazionale, che nessun altro aspirante alla nomination in lizza finora ha. E’ come andare in fuga al via della Milano-Sanremo: puoi passare il Turchino in testa, ma non arriverai mai al traguardo.
Biden è al terzo tentativo: provò a ottenere la nomination nel 1988 e poi di nuovo nel 2008, ma entrambe le volte non andò lontano. Nel 2004, rifiutò la designazione a vice di John Kerry. Nel 2016, fu a lungo il convitato di pietra del match tra Hillary Clinton e Bernie Sanders, ma alla fine rimase a guardare (appoggiando Hillary).
Di lui, dice Lucio Martino, analista e specialista di politica e istituzioni degli Stati Uniti: “Biden propone una narrativa apparentemente accattivante: il rifiuto dell’odierna polarizzazione politica. E se i democratici non si innamorano di una nuova speranza, potrebbero finire con il sostenerlo. Però la nostalgia di Biden per un approccio bipartisan pare fuori dal mondo. L’ex vice di Obama gode delle simpatie dei quadri di partito e di buona parte dell’elettorato nero, ma la sua visione politica è molto lontana da quella della sinistra e ha scarsa presa sulle donne e sulle altre minoranze”.
Biden, 77 anni, e Sanders, 78 anni, sono i più anziani, e i più ‘consumati’, del lotto democratico: non per niente, Trump non sarebbe scontento di avere uno dei due come avversario. Entrambi sarebbero il più anziano presidente mai eletto alla Casa Bianca, battendo Ronald Reagan che aveva 73 anni nel 1984, quando ottenne il secondo mandato – Trump non è un giovanotto: avrà 74 anni, nel 2020 -.
Nel video in cui annuncia di scendere in lizza, Biden non spreca tempo a presentarsi – gli americani lo conoscono – e non usa effetti speciali: esalta i valori dell’America, con fotogrammi dello sbarco in Normandia e di Martin Luther King, e denuncia il rischio che Trump rappresenta per essi, mentre scorrono immagini dei cortei di suprematisti bianchi a Charlottesville nell’agosto 2017, che sfociarono in scontri letali. L’ex vice di Obama dice: “E’ una battaglia per l’anima di questo Paese … I valori fondamentali di questa nazione, il nostro posto nel mondo, la nostra stessa democrazia, tutto ciò che fa l’America è in gioco”.
Moderato, ma profondamente democratico; poco carismatico, ma molto esperto; non un leader, ma una persona affidabile, Biden è il ventesimo candidato alla nomination democratica: oltre a lui e Sanders, ci sono, in ordine alfabetico, Cory Booker, Pete Buttigieg, Julian Castro, John Delaney, Tulsi Gabbard, Kirsten Gillebrand, Kamara Harris, John Hickenlooper, Jay Inslee, Amy Klobuchar, Wayne Messam, Seth Multon, Beto O’Rourke, Tim Ryan, Eric Swalwell, Elizabeth Warren, Marianne Williamson, Andrew Young. E l’elenco potrebbe ancora allungarsi, perché c’è gente che ancora ci pensa. Fra i repubblicani, Trump ha per ora un solo avversario: William Weld, un libertario che non lo preoccupa.
Se non avete mai sentito nominare buona parte dei candidati democratici, non fatevi crucci: neppure gli americani li conoscono. Tant’è vero che pochi, finora, superano i criteri – un mix tra sondaggi e fondi – fissati dal Partito democratico per avere accesso ai dibattiti d’autunno prima delle primarie: di sicuro, ce la fanno la Warren, che completa il terzetto degli ‘stagionati’, l’ex deputato O’Rourke, tre fra senatori e senatrici – Booker, la Harris, la Klobuchar -, l’ex governatore del Colorado Hickenlooper e l’outsider Buttigieg, sindaco gay di South Bend nell’Indiana, fenomeno mediatico di questa fase della campagna. Frank Bruni scrive, sul New York Times, che non sarebbe sorpreso di vederlo “nei final four”, negli ultimi quattro, la prossima primavera.