HomeUsaUsa: Russiagate, il rapporto è pubblico, le polemiche restano

Usa: Russiagate, il rapporto è pubblico, le polemiche restano

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/04/2019

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Ci sono voluti 20 giorni perché il rapporto del procuratore speciale del Russiagate Robert Mueller sull’intreccio di contatti nel 2016 tra la campagna dell’allora candidato Donald Trump ed emissari del Cremlino venisse pubblicato: versione non integrale, ma édita dal Dipartimento della Giustizia, che ne ha espunto – è la spiegazione ufficiale – tutti i passaggi sensibili per la sicurezza nazionale.

Alla conferenza stampa, Mueller non si presenta. E alcuni suoi collaboratori fanno filtrare ai media che il documento originale è più imbarazzante per il presidente e l’Amministrazione della versione ora trasmessa al Congresso. Parla invece il ministro della Giustizia William Barr, politico navigato, già ministro di Bush sr all’inizio degli Anni Novanta.

Barr non fa nulla per smentire la sensazione, alimentata dall’opposizione democratica, che egli sia l’avvocato del presidente più che l’avvocato degli americani: i russi – ammette – cercarono d’interferire in modo coordinato con il processo elettorale, ma non ebbero la cooperazione di Trump o della sua campagna; e Mueller non ha trovato “alcuna prova” di collusione. Ammesso che uomini di Trump e Wikileaks di Julian Assange abbiano agito in combutta per danneggiare Hillary Clinton, questo non sarebbe un reato.

In realtà, Mueller ha individuato 10 episodi potenziali di ostruzione alla giustizia da parte di Trump. Ma Barr spiega come, dopo consultazioni all’interno del Dipartimento di Giustizia, si sia stabilito che le prove non erano sufficienti per accusare il presidente, “sulla base dei fatti e dei criteri legali applicabili”. Alcune azioni del presidente potrebbero, infatti, essere più ‘ingenue’ che ‘maliziose’, nella lettura del Washington Post.

Se l’inchiesta di Mueller è ormai chiusa, restano aperti 14 procedimenti giudiziari collaterali al Russiagate, alcuni dei quali hanno già condotto in carcere il capo della campagna Paul Manafort e suoi collaboratori, l’avvocato del presidente Michael Cohen, amici e consiglieri come Roger Stone e Michael Flynn.

I legali di Trump hanno visto il rapporto Mueller prima della sua pubblicazione. La Casa Bianca non ha richiesto o apportato modifiche. Ma Trump non ha aspettato la pubblicazione del rapporto per twittare con accenti trionfali che quella che lui aveva sempre definito “una caccia alle streghe” è ”la maggiore bufala politica di tutti i tempi. Reati sono stati, invece, commessi dai democratici” – affermazione che, nel rapporto, non ha alcun riscontro -. Trump è un fiume in piena: il Russiagate è “qualcosa che non dovrebbe accadere a nessun presidente, che non dovrebbe accadere mai più”.

I democratici, dal canto loro, reagiscono a questa ondata di (per loro) cattive notizie dal Russiagate chiedendo che Mueller testimoni in Congresso il prima possibile: é necessario – sostengono all’unisono la speaker della Camera Nancy Pelosi e il capo dell’opposizione al Senato Chuck Schumer -, per riguadagnare la fiducia dell’opinione pubblica dopo la gestione del rapporto da parte di Barr. ”Gli americani meritano di ascoltare la verità”, aggiungono.

Nella conferenza stampa, Barr ha illustrato le interazioni che ci sono state fra il suo Dipartimento e la Casa Bianca nelle ultime settimane e ha anche spiegato come ha deciso di rivedere il rapporto, pubblicandone alcune parti ed eliminandone altre. Il ministro s’è pure soffermato sul cosiddetto ‘privilegio esecutivo’ di cui gode il presidente, che, in una risposta scritta al procuratore Mueller, dice: “Non ricordo che mi sia stato detto, in campagna elettorale, che Putin o il governo russo sostenevano la mia candidatura o che si opponevano a quella di Hillary Clinton. Sapevo, però, che fonti di stampa riferivano che Putin diceva cose buone sul mio conto”.

Quando seppe della nomina di Mueller, il 17 maggio 2017, Trump saltò sulla sedia: “Dio mio!, sono fottuto: è la fine della mia presidenza”; e si scaglio sull’allora ministro della Giustizia Jeff Sessions, poi silurato (“Avresti dovuto proteggermi … E’ la cosa peggiore che mi sia capitata”).

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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