Il generale Khalifa Haftar è uomo di parola, che mantiene le promesse. Ed è uomo che di promesse ne fa molte: mantenendole, si garantisce molti amici. Così, la sua avanzata verso Tripoli avviene senza suscitare l’ostilità, anzi godendo del sostegno, dell’Egitto e della Russia, con il favore velato della Francia e senza creare troppo allarme negli Stati Uniti. Ci resta male l’Italia, che, a Palermo, in novembre, s’era forse illusa d’avere innescato la tregua fra Haftar e il suo rivale Fayez al-Sarraj: il ministro degli Esteri Enzo Moavero incoraggia una soluzione pacifica, “se Haftar non recepisce, vedremo”.
Al presidente egiziano Abd al-Fattah Al-Sisi, generale come lui, Haftar assicura una intercapedine tra l’Egitto e i focolai integralisti di Derna e della Sirte e anche un filtro da infiltrazioni a sud: quello che a est, al confine con il Sinai, fanno senza sbandierarlo gli israeliani. Al presidente russo Vladimir Putin, si dice che Haftar, che è stato recentemente ospite a bordo di una delle navi russe che incrociano nel Mediterraneo e in missione a Mosca, abbia fatto balenare l’ipotesi di potere disporre di un porto lungo la costa libica, oltre a quello di Tartus in Siria.
Inoltre, fonti d’intelligence israeliane citate da un sito israeliano, Debkafile, ipotizzarono, il giorno della visita di Haftar a Mosca, l’apertura in Cirenaica di una base militare russa, con unità navali ed aeree ad appena 700 km dalle coste europee: una ‘gemella’ della base di Hmeymim nella provincia di Latakia in Siria. Putin avrebbe inoltre offerto ad Haftar aerei da guerra, elicotteri d’attacco, veicoli blindati, missili e supporto aereo: tutto, ovviamente, per combattere contro il sedicente Stato islamico, non per investire Tripoli e il debole potere del premier al-Sarraj.
Ufficialmente, infatti, la Russia vuole una soluzione pacifica della crisi libica: lo dice il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov, parlando al telefono proprio con Haftar, che lo chiama per “condividere informazioni” su quella che per lui è una lotta contro i terroristi in Libia.
Secondo Mohamed Anwar El Sadat, nipote dell’ex presidente egiziano e presidente del partito d’opposizione ‘Riforma e Sviluppò, l’Egitto non può che sostenere Haftar: “E’ l’unica scelta possibile, perché è l’unico che può garantirci la sicurezza dei confini e che nel futuro della Libia non ci sia spazio per i Fratelli Musulmani”.
Il capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico non avrebbe mai lanciato l’offensiva contro Tripoli “senza la luce verde di Egitto, Emirati e forse Francia e Russia”. Non è un caso, del resto, che ieri il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov fosse al Cairo, dove ha incontrato il presidente al-Sisi e il suo omologo Sameh Shoukry: al centro dei colloqui, è ufficiale, “la crisi libica”.
Un’ipotesi ottimista è che Haftar stia solo cercando di guadagnare posizioni e influenza in vista “della conferenza nazionale” in programma a metà mese a Ghadames, ma il cui svolgimento appare, ora, estremamente incerto. Un’ipotesi realista è che Haftar stia cercando di sbarazzarsi, politicamente, se non fisicamente, di al-Sarraj, che è legittimato dall’Onu, ma che non ha mai davvero esercitato il potere in Libia.
Dal Cairo, Lavrov lancio messaggi equidistanti, ma poco credibili: la Russia è “in contatto con tutte le forze politiche libiche” e rivolge “a tutte loro lo stesso messaggio … Non abbiamo mai inteso favorire l’una o l’altra …. Ci appelliamo a una soluzione politica interna, senza alcuna ingerenza straniera”. Ma, a domanda puntuale, Lavrov risponde che la Russia è contraria a raid aerei contro l’Esercito nazionale libico del generale Haftar, che, a sua volta, avrebbe imposto una ‘no fly zone’ sul Paese. “Ci preoccupa – dice Lavrov – che le unità armate in alcune parti della Libia progettino d’impiegare aerei da guerra contro l’Esercito nazionale libico. Coloro che possono influenzare queste unità devono evitare tale escalation e tutti dovrebbero invitare i libici a fermare ogni offensiva militare e a sedersi al tavolo dei negoziati”: nella serie, chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, con le nuove posizioni acquisite sul terreno e la porzione di Paese controllata da al-Sarraj ulteriormente ridotta.
E l’America? Chi s’aspetta che Trump fermi Haftar forse dimentica che il generale, con Gheddafi nel colpo di Stato che rovesciò re Idris e poi scaricato dal Colonnello durante la campagna in Ciad, meditò la vendetta per oltre vent’anni vivendo negli Usa in Virginia, così vicino a Langley, sede della Cia, da alimentare le voci d’una sua collaborazione con l’intelligence americana. A 75 anni, Haftar ha ancora voglia di potere, molti amici e una straordinaria vitalità – nonostante le notizie che un anno fa lo davano per morto -.