Il Medio Oriente è un angolo di Mondo dove la matassa delle alleanze è inestricabile, così come l’ordito delle inimicizie: c’è sempre un alleato in un conflitto che ti è nemico, più o meno palese, nel conflitto accanto. E siccome qui i conflitti non mancano, amici e nemici s’intrecciano e sovente si confondono. Questo in parte spiega gli insuccessi delle ingerenze dell’Occidente e, in passato, anche sovietiche, mentre la Cina, che affida la sua penetrazione al linguaggio universale del denaro e dell’interesse economico e commerciale e meno si preoccupa d’esercitare influenza ed egemonia, appare più a suo agio in questo contesto. Proviamo a discernere amici e nemici nei conflitti aperti tra Nord Africa e Medio Oriente.
Libia – C’è un premier riconosciuto dalla comunità internazionale, Fayez al-Sarraj, il cui potere è circoscritto a Tripoli e dintorni ed è condizionato dagli umori dei ‘signori della guerra’ della costa. Nell’est, in Cirenaica, c’è un contro-potere il cui uomo forte è il generale Khalifa Belqasim Haftar, un passato da agente della Cia, oggi uomo di fiducia dell’Egitto ed anche della Russia. Nel Fezzan, a sud, ma pure in tratti di costa, alla Sirte, vi sono infiltrazioni guerrigliere o terroristiche, da Niger e Ciad, e rimasugli di sedicente Stato islamico o altre sigle terroristiche integraliste, come al Qaida.
Italia e Francia, i Paesi europei più interessati alla Libia, puntano l’una su al Sarraj, l’altra su Haftar (ma non esclusivamente: entrambe puntano qualche gettone anche sull’altro); l’America di Trump, a parole, mette la vicenda nelle mani dell’Italia, ma di fatto se ne disinteressa o, addirittura, strizza l’occhio ad Haftar, che ha i tratti dell’uomo forte (e questo a Trump piace).
Conflitto israelo-palestinese – Il piatto forte storico del Medio Oriente è oggi meno appetitoso: avanzi, che non fanno più gola a nessuno. L’Arabia saudita e l’Egitto non digrignano neppure più i denti con Israele, che dà una mano a controllare nel Sinai la deriva terroristica dell’integralismo islamico egiziano represso e frena gli sciiti in Siria – favori fatti al generale al Sisi e alla monarchia saudita -. Nella Striscia di Gaza, i palestinesi possono ancora contare su aiuti dall’Iran, che, a nord, al confine tra Israele e Libano, foraggia pure l’azione di disturbo degli Hezbollah, e dal Qatar, che agisce spesso in controtendenza con le altre monarchie saudite – e ne subisce l’embargo e l’ostracismo-.
Siria – Qui, è l’esaltazione del tutti contro tutti; o quasi. Tutti contro l’Isis: il presidente al-Assad ed i suoi alleati, l’Occidente e la Russia, la Turchia e i curdi. Ma la Russia difende il regime dall’opposizione, che equipara a terroristi. Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno con l’opposizione, o meglio stavano, perché la partita è persa, contro il regime. L’Iran sciita combatte l’Isis sunnita, ma, soprattutto, sostiene in regime, alauita e, quindi, sciita. Le monarchie saudite antepongono all’azione anti-Isis la preoccupazione di limitare l’influenza dell’Iran. La Turchia agisce in funzione anti-curda. E i curdi sono gli unici a combattere sul terreno le milizie integraliste, salvo poi trovarsi sotto attacco turco.
Yemen – Qui, parrebbe tutto semplice: c’è, al nord, l’insurrezione degli huthi, sciiti che, appoggiati dall’Iran, cacciano da Sana la capitale il legittimo presidente Hadi, sunnita. E l’Arabia saudita coagula una coalizione sunnita dall’Egitto al Pakistan per sconfiggere i ribelli. Ma il fronte sunnita non è unito: divisi gli yemeniti, tra i sostenitori di Hadi ed i nostalgici del suo predecessore Saleh, nel frattempo deceduto; e divisa la coalizione, con sauditi ed emiratini ai ferri corti, considerando entrambi lo Yemen il cortile di casa. Qui, la Russia e l’Occidente stanno a guardare, ma Mosca vende armi all’Iran. che ne foraggia gli huthi; e americani ed europei ne vendono a sauditi & C., che le usano in proprio.
Afghanistan – Geograficamente è fuori dal Medio Oriente, ma vi appartiene geo-politicamente ed è teatro della guerra più lunga mai combattuta nei tempi moderni: gli Usa vi si sono impantanati peggio che nel Vietnam. I talebani che offrirono santuari a Osama bin Laden, prima dell’11 Settembre 2001, contrastano il governo sostenuto dagli Stati Uniti; e il territorio offre rifugio a miliziani dell’Isis in rotta e foreign fighters e superstiti di al Qaida. Iraniani e arabi, qui, si fanno vedere poco: il ‘grande gioco’ afghano lo conoscono più loro che americani e occidentali.