Prima di cominciare a sparare al cuore del bersaglio grosso, Donald Trump, che quasi certamente sarà il candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 2020, gli aspiranti alla nomination democratica, che sono una ventina circa, quando mancano nove mesi all’inizio delle primarie, giocano a spararsi sui piedi l’un l’altro, così da azzoppare e rallentare, o mettere fuori corsa, i rivali. Joe Biden, vice-presidente di Barack Obama per otto anni, dopo essere stato senatore del Delaware per 36 anni, non ha ancora sciolto le riserve sulla sua discesa in campo per le presidenziali 2020, ma deve già difendersi dalle accuse di una politica democratica che lui nel 2014 avrebbe baciato – castamente, sulla nuca – senza il suo consenso.
La donna, Lucy Flores, 40 anni, una ex deputata del Nevada, allora candidata a vicegovernatore dello Stato, oggi militante per molte buone cause, ha raccontato a una rivista e ha poi ripetuto d’essersi sentita “a disagio, disgustata e confusa” quando Biden, 77 anni, le si avvicinò da dietro, le posò le mani sulle spalle e la baciò sulla nuca.
Accadde a un comizio dove l’allora vice-presidente sosteneva la sua candidatura a vice-governatore – Lucy poi perse le elezioni -. “In tanti anni di campagne elettorali e di vita pubblica non ho mai agito in maniera inopportuna”, dice ora Biden alla stampa. Ma, conscio dello spirito dei tempi, promette di andare a fondo sulle affermazioni della Flores, anche se non ha memoria dell’episodio: “In tanti anni, non si contano le strette di mano, gli abbracci, le espressioni di affetto e di sostegno che ho dato – spiega -. E non è mai stata mia intenzione mancare di rispetto a qualcuno”.
Ma i suoi potenziali rivali democratici vogliono dire la loro. Per primo, Bernie Sanders, il senatore del Vermont che i sondaggi danno in testa alla corsa con Biden – probabilmente, perché i loro due nomi sono già noti a livello nazionale -: la Flores, nel 2016, stava con lui contro Hillary Clinton. Poi, le senatrici Elizabeth Warren e Amy Klobuchar e altri che s’accodano e chiedono che sia fatta piena luce (ma su cosa?).
Punture di spillo, azioni di disturbo, che, se non fosse l’America di #MeToo, lascerebbero il tempo che trovano, tanto la colpa di Biden il gentiluomo appare lieve, ammesso che sia colpa. Lo strano è che, se qualcuno dicesse una cosa del genere di Donald Trump, che sarebbe credibilissima, nessuno gli baderebbe, ché al magnate sono stati abbonati dai suoi elettori atteggiamenti e comportamenti ben più pesanti.
A favore di Biden, vengono donne che lo ebbero amico o collega o capo. Ma certo nessuna può escludere che in quel dato momento, in quella data situazione, il vice-presidente abbia senza volerlo messo in imbarazzo la Flores, che non denunciò l’episodio allora, e neppure nel 2016, quando Biden rimase a lungo incerto se candidarsi, ma lo fa oggi, dopo cinque anni.
Se s’impallinano fra di loro – esercizio che sarà inevitabile per l’anno a venire -, i democratici, però, non rinunciano a tenere sotto pressione il presidente Trump, in attesa di conoscere – a metà aprile – il testo completo del rapporto finale sul Russiagate del procuratore speciale Robert Mueller. Viene il sospetto che il segretario alla Giustizia William Barr non voglia solo editare il documento, ma anche epurarlo dei passaggi scomodi, alla faccia della trasparenza.
La Commissione Vigilanza e Riforme dalla Camera, dove i democratici sono maggioranza, indaga sui nulla osta per la sicurezza concessi dall’Amministrazione Trump ad almeno 25 persone senza tenere conto delle indicazioni contrarie venute dai consiglieri per la sicurezza (che adesso si tolgono sassolini dalle scarpe). Le security clearances contestate riguardano figure di primo piano dello staff della Casa Bianca e della ‘prima famiglia’, il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, Ivanka Trump e suo marito Jared Kushner. L’indagine della Commissione, che nasce da una costola del Russiagate, va avanti.