“Vanno tutti in giro armati e il tizio che mi viene incontro nel corridoio della scuola può cominciare a sparare all’impazzata da un istante all’altro: speriamo che lo faccia dopo avermi incrociato”: pensieri d’un padre di famiglia, probabilmente europeo, mentre va a incontrare i professori del figlio in un liceo americano.
Fino a ieri. Perché, adesso, c’è un antidoto alla paura. “Questa la so, è facile: aumentare i controlli sulle vendite di armi”. Risposta sbagliata, da liberal impenitente; o da miscredente europeo, senza culto del II emendamento della Costituzione statunitense, quello che autorizza i cittadini a essere armati.
La risposta giusta ce l’ha una startup israeliana: piazzare ovunque un sacco di pulsanti anti-panico, da azionare in caso di sparatorie di massa, nel tentativo di evitare che le sparatorie diventino carneficine. L’azienda, la Gabriel, ha già trovato i suoi primi acquirenti Usa e doterà dei pulsanti 25 luoghi di ritrovo della comunità ebraica di Detroit.
L’idea è di piazzare i dispositivi, che chiamano la polizia se azionati, lanciano un allarme sonoro e mettono in opera video-camere e microfoni, nelle scuole, nei luoghi di culto – chiese, sinagoghe e moschee sono tutti potenziali obiettivi, di questi tempi – ed eventualmente pure nei luoghi di lavoro – gli uffici postali sono un obiettivo frequente dei frustrati da licenziamento armati -.
L’anno scorso, negli Stati Uniti, secondo il Gun Violence Archive, una organizzazione Usa no profit, ci sono stati 340 attacchi a mano armata con vittime, a parte lo sparatore spesso finito suicida o ammazzato: quasi uno al giorno in media. Gli americani che muoiono uccisi da armi da fuoco sono 11 volte più numerosi, in percentuale della popolazione, che in qualsiasi altri Paese sviluppato, secondo uno studio del 2014.
Naturalmente, molti pensano semplicisticamente che una risposta al problema sarebbe rendere più difficile l’acquisto di armi. Ma una grossa fetta di cittadini americani corre ad armarsi di più dopo ogni sparatoria, nel timore che qualcuno a Washington introduca limitazioni alle vendite di armi (adesso che alla Casa Bianca c’è Donald Trump, il problema non si pone).
La Gabriel è convinta che i suoi pulsanti possano ridurre le vittime delle sparatorie, facendo arrivare prima sul luogo la polizia: quindi, non prevenire la sparatoria, ma accorciare i tempi d’intervento. L’azienda cita una serie di episodi in cui l’inefficienza delle forze dell’ordine nell’entrare in azione contribuì ad aumentare il numero delle vittime, o consentì al o ai killer di sottrarsi alla cattura.
Parlando a The Guardian, Yoni Sherizen, fondatore della Gabriel, chiama la sua trovata “il cugino di un allarme anti-incendio”, perché molto gli assomiglia, anche se è molto più intelligente e sa dare a chi s’appresta a intervenire molte più informazioni in tempo reale sui luoghi da cui proviene la chiamata.
Programmi piloti condotti a Detroit hanno dato esito soddisfacente e le organizzazioni ebraiche hanno commissionato l’installazione dei pulsanti anti-panico in 25 luoghi, per contrastare la paura d’attacchi contro ebrei, cresciuta dopo la strage alla sinagoga di Pittsburgh nell’ottobre scorso (11 le vittime, nell’attacco anti-semita più letale nella storia Usa).
Il kit di base costa 10 mila dollari: la conferma che gli americani prima spendono molto per armarsi e poi spendono di più per affidare la loro sicurezza a costose installazioni difensive o per addestrarsi a come comportarsi in caso di attacco – un mercato da 2,7 miliardi di dollari nel 2017 -. Ma, nonostante il training dei bidelli a disarmare gli aggressori, i maggiori controlli, i metal detector all’ingresso e altre trovate, le sparatorie nelle scuole non sono diminuite negli ultimi trent’anni. E numerosi esperti dubitano che i pulsanti anti-panico siano il toccasana.
Fra quello che lavorano per Gabriel c’è Ryan Petty, un esperto americano che l’anno scorso perse una figlia di 14 anni nella sparatoria al liceo di Parkland in Florida.