Una cartolina da Baghuz, anticamera dell’inferno. O del paradiso, a credere agli jihadisti: “Domani, se Dio vuole, noi saremo in paradiso e loro, gli infedeli, bruceranno all’inferno”. Lo dice, agitando la destra, il miliziano protagonista d’un video del sedicente Stato islamico, l’Isis, il primo edito, o intercettato dai servizi di monitoraggio occidentali, da gennaio. Scene di vita dall’accampamento ormai assediato e progressivamente svuotatosi dei familiari dei guerriglieri e degli stessi jihadisti, che tentano la fuga o che preferiscono consegnarsi e finire in prigionia piuttosto che restare uccisi.
Il video è senza data: impossibile, quindi, dire, solo vedendolo, se sia stato girato ieri o giorni o settimane fa: accertamenti dell’intelligence sono in corso. Nelle vie del campo, passano mamme con bambini nel passeggino e furgoni costretti, dal caos, a muoversi a passo d’uomo; le strade sono sterrate e fangose, ma non ci sono segni di disperazione o di devastazione.
“Qual è la nostra colpa? Quali sono i nostri crimini”, dice, rivolto alla camera, un presunto jihadista. “Perché veniamo bombardati giorno e notte? Perché tutte le nazioni del mondo miscredente ci combattono? Qual è la nostra colpa? Perché siamo sotto assedio, mentre il mondo tace? Qual è la nostra colpa, quali sono i nostri crimini? Vogliamo applicare la legge di Dio”.
Le domande del miliziano del video sono anche rivolte ai ministri degli Esteri degli ‘amici della Siria’, i Paesi che aderiscono alla coalizione condotta dagli Stati Uniti. Riuniti a Bruxelles, cercano – ma lo fanno da otto anni, senza alcun risultato – una “soluzione politica” al conflitto, di fatto risoltosi, ad opera della Russia e dell’Iran, con il concorso della Turchia, in un consolidamento del regime di al Assad, nonostante l’insurrezione godesse del sostegno dell’Occidente. La Lega araba s’appresta a dibattere la riammissione della Siria.
E mentre Mosca e Ankara discutono di “pattuglie congiunte” in funzione anti-curda alla frontiera siriana di nord-est, raid russi colpiscono una prigione a Idlib e consentono la fuga ai detenuti.
Da Baghuz, nella piana tra l’Eufrate e il confine con l’Iraq, nel Sud-Est del Paese, dove l’offensiva di terra dei curdi procede lentamente, con il sostegno di raid aerei principalmente americani, giunge notizia della resa di 500 miliziani, mentre nessuna conferma si ha della presenza nell’accampamento dell’auto-proclamato Califfo Abu Bakr Al-Baghdadi, già dato per morto oppure volta a volta segnalato a Mosul, a Raqqa, alla Sirte – oggi, c’è chi lo vuole alle prese con una faida di potere interna, come se non gli bastassero i nemici esterni -.
Fra le tante guerre di cui la Siria è teatro, di tutti contro l’Isis, dei turchi contro i curdi, degli insorti contro il regime, c’è pure quella di Israele contro l’Iran e i suoi alleati in Siria. Le forze armate israeliane hanno scoperto un’unità di Hezbollah lungo la linea del cessate il fuoco sulle Alture del Golan, guidata da un comandante incarcerato in passato per un attacco contro gli americani in Iraq.
Lo Stato ebraico teme da tempo che l’Iran e il suo ‘braccio armato’, gli Hezbollah libanesi, possano aprire un nuovo fronte in Siria dopo il consolidamento del regime di al-Assad. In questo caso, Israele riconosce che il presidente non sapeva dell’unità Hezbollah.
Il Dipartimento di Stato Usa, intanto, non definisce più la Cisgiordania, Gaza e le alture del Golan “territori occupati”, ma zone “controllate da Israele”.