Tu quoque?, Justin. Anche l’ultimo leader liberal, ancora giovane e bello, di quello che un tempo era il Mondo libero finisce nel polverone di un’indagine in cui s’intrecciano favori e corruzione, mentre il suo governo perde i pezzi. Tutto avviene a sette mesi dalle elezioni politiche che potevano decretare la conferma di Justin Trudeau e che adesso rischiano di sancirne il tramonto.
A lasciare è Jane Philpott, di fatto ministro del Tesoro ed ex ministro della Sanità. Le dimissioni sono collegate allo scandalo che sta coinvolgendo il premier e i suoi fedelissimi, che avrebbero esercitato pressioni per evitare un’indagine a carico di una grande azienda canadese di costruzioni, la Snc-Lavalin.
Cose da Italia, non da Canada. “”Devo adeguarmi ai miei valori, alle mie responsabilità etiche ed agli obblighi costituzionali” dice la Philpott, che segue la via tracciata, a gennaio, dall’ex ministro per i veterani, Jody Wilson-Raybould. Quando era al dicastero della Giustizia, la Wilson-Raybould avrebbe subito pressioni dall’ufficio del premier per agevolare la Snc-Lavalin, che avrebbe pagato milioni di dollari in tangenti in Libia ai tempi di Gheddafi.
Il sospetto che grava sul premier è quello di favoreggiamento: avere agito per evitare che l’azienda finisse sotto processo. La grana agita le acque del governo e irrita l’opinione pubblica, proprio mentre il Canada è nel pieno di una tempesta giudiziaria e commerciale con la Cina, dopo l’arresto a dicembre della direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, su mandato di cattura Usa – Washington ne chiede ora l’estradizione –. In attesa che la giustizia di pronunci, la Meng è bloccata da tre mesi a Vancouver, con l’accusa di avere violato le sanzioni Usa contro l’Iran, e ha fatto causa al governo canadese per la violazione dei suoi diritti. Pechino preme su Ottawa con ritorsioni.
Nell’affare Huawei, Trudeau paga un riavvicinamento agli Stati Uniti, dopo che nel Vertice del G7 del luglio scorso Trump aveva fatto le peggio scortesie al padrone di casa. L’affare Snc-Lavalin appare, invece, un intreccio di arroganza e di dabbenaggine. La Wilson-Raybould sarebbe stata degradata dalla Giustizia ai Veterani per non avere assecondato le richieste fattele. Ma Trudeau nega ogni coinvolgimento.
Secondo le ricostruzioni dei media canadesi, l’obiettivo del premier e dei suoi fedelissimi era che s’arrivasse a un accordo per consentire alla società di evitare il processo pagando una sanzione. Senza un processo, la Snc-Lavalin non andrebbe incontro a condanne penali ed eviterebbe anche d’essere bandita per un decennio dagli appalti governativi: un brutto colpo per gli oltre 50 mila dipendenti in tutto il mondo, di cui 12 mila in Canada.
I conservatori, in crescita nei sondaggi, gongolano e sperano in un crollo del leader liberale, che ha solo 47 anni, ma pare già in declino. E il governo rischia d’implodere da un momento all’altro, mentre l’opposizione chiede le dimissioni del premier.
Vincitore delle elezioni nell’autunno del 2015, Justin Trudeau, figlio d’arte – il padre Pierre fu più volte premier, a due riprese -, aveva restituito il Canada ai suoi valori e alle sue tradizioni, dopo quasi 12 anni di governo ininterrotto di Stephen Harper, neo-con sopravvissuto all’era Bush, ma aveva poi perso presto la sintonia con il Paese, complice la moglie Sophie, soprannominata la Maria Antonietta dell’Ontario per qualche pretesa giudicata eccessiva.
Politicamente, Justin si colloca nel solco del padre, un leader di spessore mondiale, più in sintonia con Jimmy Carter che con Ronald Regan – Justin andava più d’accordo con Obama che con Trump -. E ha pure una madre importante: Margareth Joan Sinclair, donna di cultura e di mondo. I Trudeau furono coppia da gossip ‘ante litteram’: lei ebbe una storia con Ted Kennedy, prima di frequentare i Rolling Stones, pare anche Mick Jagger.