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Usa: muro, fermento contro Trump e emergenza nazionale

Scritto per La Voce e il Tempo uscito il 21/02/2019 con data 24/02/2019

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L’America è in fermento, dopo che Donald Trump ha proclamato lo stato d’emergenza nazionale per potersi costruire il muro anti-migranti lungo il confine con il Messico, stornando voci di spesa del bilancio federale. Il Congresso, infatti, con decisione condivisa da repubblicani e democratici, aveva stanziato solo un quarto dei fondi stimati necessari, circa 1,4 miliardi di dollari contro 5,7.

L’intesa tra Camera e Senato, tradotta in una legge di bilancio firmata dal magnate presidente, sventa i rischi di ‘shutdown’ per quest’anno, dopo che, tra dicembre e gennaio, c’è stata la serrata dell’Amministrazione federale più lunga della storia, cinque settimane senza servizi per i cittadini e senza stipendio per centinaia di migliaia di dipendenti.

Sedici Stati, fra cui i due più popolosi, e più anti-Trump, la California e lo Stato di New York, hanno fatto insieme ricorso contro l’emergenza nazionale a una corte federale di San Francisco, argomentando che il presidente non ha il potere di deviare somme da un capitolo di spesa all’altro, perché questa è costituzionalmente una prerogativa del Congresso. E tutta l’Unione è attraversata dai cortei di protesta di chi non vuole lo sbarramento alla frontiera.

La mobilitazione popolare s’accompagna alla tensione politica, divenuta più concreta ora che l’opposizione democratica controlla la Camera, e agli sviluppi giudiziari sul fronte Russiagate, l’inchiesta sull’intreccio di contatti nel 2016 tra la campagna di Trump ed emissari del Cremlino, dove c’è la sensazione che il procuratore speciale Robert Mueller possa presto battere un colpo. Secondo un calcolo del New York Times, il magnate presidente ha attaccato l’inchiesta, definita “una caccia alle streghe”, 1200 volte da quando è alla Casa Bianca, quasi due volte al giorno.

Distrazioni internazionali e la campagna 2020
Come distrazione dell’opinione pubblica dalle grane interne, Trump gioca carte di politica estera: ci sarà a fine mese un secondo vertice con il leader nord-coreano Kim Jong-un, ad Hanoi, in Vietnam; va avanti il ritiro dalla Siria delle truppe Usa, condito dal perentorio invito agli alleati a farsi carico dei loro ‘foreign fighters’ catturati, “se no li lasciamo liberi” – sottinteso: di tornare a compiere attentati a casa vostra -; vanno bene – e vengono prorogati – i negoziati commerciali con la Cina. Ma il Forum di Monaco annuale sulla sicurezza scava un solco fra americani ed europei, anche se l’ex vice-presidente di Barack Obama, Joe Biden, promette: “Non preoccupatevi, torneremo”.

In effetti, la campagna presidenziale per Usa 2020 è già iniziata: Trump è in campagna permanente, i democratici si allineano ai nastri di partenza e sono già una dozzina gli aspiranti alla nomination. Con la discesa in campo di Bernie Sanders, martedì 19, le primarie democratiche si presentano come uno scontro generazionale. Da una parte, i ‘veterani’ alla Sanders: se Hillary Clinton ha dato forfait, ci sono la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, o l’ex vicepresidente Biden, che deve ancora dichiarare le sue intenzioni. Dall’altra, una squadretta, ancora in fieri, di quarantenni e cinquantenni: i più quotati sono i senatori della California Kamara Harris, 54 anni, e del New Jersey Cory Booker, 49 anni, in attesa che decida se candidarsi l’ex deputato del Texas Beto O’Rourke, 46 anni. In lista d’attesa outsiders e miliardari, come l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg.

La battaglia per l’emergenza nazionale finirà alla Corte Suprema
Il magnate presidente sa che sull’emergenza nazionale ci sarà una battaglia legale, che finirà davanti alla Corte Suprema, ma è convinto di vincerla, come ha vinto quella sul ‘muslim ban’, il divieto d’ingresso nell’Unione per chi viene da alcuni Paesi prevalentemente musulmani, a inizio mandato. Trump sostiene che dietro le cause c’è la sinistra radicale – il che è vero – e sa che potrà mettere il veto su mosse politiche anti-muro (improbabili, perché i repubblicani dovrebbero sconfessare il loro presidente).

Nel ricorso presentato alla giustizia federale s’afferma che lo stato d’emergenza nazionale viola la separazione dei poteri e danneggia senza motivo le comunità di frontiera. Tanto più che un’intesa appena conclusa tra Usa e Messico, e già operativa, riduce la pressione dei migranti lungo il confine: coloro che vogliono chiedere asilo devono ormai espletare le procedure preliminari stando in Messico e prima di entrare nell’Unione.

Il governatore della California, Gavin Newsom, un ex sindaco di San Francisco che potrebbe forse candidarsi alla nomination democratica, ha annunciato che il suo Stato fa causa contro quella che definisce una mossa “folle” del presidente. La responsabile della Giustizia dello Stato di New York Letitia James parla di “abuso di potere”.

Sfilando da Times Square per le vie di Manhattan, i manifestanti newyorchesi mescolavano i temi e invitavano la Camera ad avviare udizioni per accertare se il presidente abbia intralciato la giustizia, un’accusa che potrebbe condurre all’impeachment, cioè alla messa sotto accusa di Trump. Si chiede pure di creare una commissione ‘tipo Watergate’ per indagare sui legami fra Trump e la Russia (e per accertare che cosa si sono detti nei loro incontri Trump e Vladimir Putin), mentre responsabili dell’intelligence lasciano filtrare il sospetto che il magnate sia una carta nelle mani della Russia.

Nelle polemiche sull’immigrazione, s’inserisce una questione relativa al censimento 2020 approdata alla Corte Suprema: se è lecito chiedere ai cittadini di dichiarare la cittadinanza, se si è americani o meno. Dopo che un giudice federale ha vietato il quesito, i giudici supremi ascolteranno le parti ad aprile e dovrebbero pronunciarsi a giugno. Il quesito è fortemente voluto dall’Amministrazione, mentre le associazioni che vi s’oppongono ritengono che esso ridurrà l’accuratezza del censimento, spingendo molti, soprattutto immigrati, a non parteciparvi, con effetti distorsivi sulla distribuzione dei fondi federali e sulla composizione delle circoscrizioni elettorali.

Una crisi istituzionale senza precedenti
Con la mossa, non improvvisata, dell’emergenza nazionale, Trump ha aperto una crisi istituzionale dalla portata ancora imprevedibile. “Siamo di fronte a un’invasione di droga, di gang, di criminali, di persone. E questo è inaccettabile”, ha detto il magnate la scorsa settimana, parlando dal Giardino delle Rose dalla Casa Bianca: “Non è solo questione di promesse elettorali. C’è una vera e propria crisi di sicurezza. E dire che il muro non funziona è solo una bugia, una grande bugia”. L’annuncio non giungeva a sorpresa. “Se non usi l’emergenza nazionale per questo, per cosa la dichiari?”, si chiedeva retoricamente il presidente: “Voglio fermare l’ingresso in America di droga e criminalità”, affermava, dicendosi favorevole alla pena di morte per chi vende droga, com’è in Cina.

I leader democratici nel Congresso, Nancy Pelosi, speaker della Camera, e Chuck Schumer, capogruppo al Senato, replicavano: “Questa è una presa di potere da parte di un presidente frustrato, che ha fallito e che cerca di ottenere quello che vuole al di fuori della legge. E il Congresso non può lasciare che il presidente stracci la Costituzione”. Con una risoluzione congiunta di Camera e Senato, il Congresso può bloccare la mossa del presidente (ma arrivarci sarà difficile).

L’intesa sul bilancio raggiunta tra i democratici, che controllano la Camera, e i repubblicani, che sono maggioranza al Senato, prevedeva di realizzare, al confine con il Messico, 88,5 km di barriere e un centinaio di km di filo spinato, assai meno dei 321,86 km di muro progettati, e stanziava 1,375 miliardi di dollari, cioè un quarto di quanto chiesto (5,7 miliardi) – e meno degli 1,6 miliardi di dollari proposti dal Congresso al magnate prima che iniziasse lo shutdown a dicembre -.

Con l’emergenza federale, Trump potrà ora recuperare le risorse mancanti da altri fondi e programmi federali, varando decreti. Così, ben 600 milioni di dollari potrebbero arrivare dal fondo del Tesoro costituito con le risorse derivanti dalla confisca di stupefacenti; 2,5 miliardi potrebbero venire dal programma di lotta al traffico di droga del Pentagono; e 3,5 miliardi sempre dal bilancio del Dipartimento della Difesa destinato alle costruzioni militari.

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gphttps://giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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