El Paso non ama né il muro né Donald Trump: l’Amministrazione comunale e tre organizzazioni non profit locali avviano un’azione in giudizio contro lo stato d’emergenza. E dire che il presidente aveva scelto la città texana al confine con il Messico, separata solo da un ponte da Ciudad Suarez, ricettacolo di violenze e di traffici d’ogni genere, come simbolo dei problemi che l’emigrazione causa agli Stati Uniti.
Nel ricorso si afferma che la proclamazione dello stato d’emergenza per il muro viola la separazione dei poteri e che danneggerà senza motivo la comunità. Tanto più che un’intesa appena conclusa col Messico, e già operativa, riduce la pressione dei migranti lungo il confine: per coloro che vogliono chiedere asilo, infatti, l’espletamento delle procedure preliminari avviene mentre sono ancora in Messico e precede l’ingresso nell’Unione.
L’iniziativa di El Paso si somma ad altre avviate nelle ore immediatamente successive all’annuncio di Trump venerdì mattina. In attesa che in Congresso l’opposizione democratica s’organizzi e passi da dichiarazioni bellicose ad atti concreti, la California e lo Stato di New York vogliono denunciare come arbitrari il ricorso all’emergenza nazionale e lo storno di fondi federali per finanziare il muro.
Il governatore della California, Gavin Newsom, un ex sindaco di San Francisco che potrebbe forse candidarsi alla nomination democratica, ha annunciato che il suo Stato farà causa contro quella che definisce una mossa “folle” del presidente. La responsabile della Giustizia dello Stato di New York Letitia James parla di “abuso di potere”.
Nella Grande Mela e in altre località dell’Unione, ci sono state manifestazioni popolari contro l’emergenza nazionale per il muro. E le proteste intrecciano il tema con gli sviluppi del Russiagate, l’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sull’intreccio di contatti tra la campagna presidenziale 2016 di Trump ed emissari del Cremlino.
Sfilando da Times Square per le vie di Manhattan, i manifestanti newyorchesi invitavano la Camera ad avviare udizioni per accertare se il presidente abbia intralciato la giustizia, un’accusa che potrebbe condurre all’impeachment, cioè alla messa sotto accusa di Trump. Si chiede pure di creare una commissione ‘tipo Watergate’ per indagare sui legami fra Trump e la Russia (e per accertare che cosa si sono detti nei loro incontri Trump e Vladimir Putin).
Nelle polemiche sull’immigrazione, s’inserisce una questione relativa al censimento 2020 approdata alla Corte Suprema: se è lecito chiedere ai cittadini di dichiarare la cittadinanza, se si è americani o meno. Dopo che un giudice federale ha vietato il quesito, i giudici supremi ascolteranno le parti ad aprile e dovrebbero pronunciarsi a giugno. Il quesito è fortemente voluto dall’Amministrazione, mentre le associazioni che vi s’oppongono ritengono che esso ridurrà l’accuratezza del censimento, spingendo molti, soprattutto immigrati, a non parteciparvi, con effetti distorsivi sulla distribuzione dei fondi federali e sulla composizione delle circoscrizioni elettorali.