Forse si accontenterà d’un muretto lungo il confine con il Messico, invece del muro invalicabile – e pagato dagli ‘chicanos’ – delle sue promesse elettorali, per cui servono 5,7 miliardi che il Congresso continua a negargli. Donald Trump non s’è ancora impegnato ad accettare l’accordo di principio raggiunto da democratici e repubblicani per evitare che, dopo una tregua di due settimane, ricominci lo shutdwon, cioè la serrata dell’Amministrazione federale, che ha funestato l’inizio dell’anno nell’Unione. Ma non è aria che la pantomima dei musei e dei parchi chiusi riparta.
Ai cronisti, il presidente dice di non aver ancora deciso, di stare prendendo in esame tutte le ipotesi, senza escludere il ricorso all’emergenza nazionale, se il compromesso parlamentare risultasse insoddisfacente. Ma aggiunge che non ritiene probabile una ripresa dello shutdown. “E, se ci sarà, sarà colpa dei democratici”: ovvio! Deputati e senatori, dal canto loro, si mostrano fiduciosi che Trump finirà con il firmare: deve farlo entro la fine della settimana, per evitare che diverse agenzie federali restino senza fondi per pagare i dipendenti.
L’intesa trovata l’altra notte tra i democratici, che controllano la Camera, e i repubblicani, che sono maggioranza al Senato, prevede la realizzazione, al confine con il Messico, di 88,5 km di barriere e di un centinaio di km di filo spinato, assai meno dei 321,86 km di muro progettati. Se il presidente s’accontenta di 1,375 miliardi di dollari, cioè un quarto di quanto chiesto, la partita è chiusa, almeno per quest’anno: l’offerta è inferiore agli 1,6 miliardi di dollari proposti dal Congresso al magnate prima che iniziasse lo shutdown, andato avanti per cinque settimane, un record assoluto.
La notizia dell’intesa bipartisan ha raggiunto il magnate presidente ‘sul terreno’, a El Paso, la città del Texas che solo un ponte divide da Ciudad Juarez, in Messico. Lì, Trump ha tenuto il suo primo comizio 2019, che è stato anche il primo della sua campagna elettorale 2020: un’occasione, l’ennesima, per attaccare i media e per mettere alla berlina i democratici in lizza per la nomination, già quasi una decina, soprattutto donne.
Nel mirino del magnate, è finita soprattutto Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota, ‘colpevole’ d’avere lanciato la sua corsa sfidando una forte nevicata e una temperatura di -14: “Amy – l’ha canzonata Trump – ha orgogliosamente parlato di combattere il riscaldamento globale, mentre era dentro una tempesta di neve… Cattiva scelta di tempo… Alla fine, pareva un pupazzo di neve”.
A El Paso, però, non è filato tutto liscio: ad ascoltare il presidente, c’erano 6000 persone – e molte erano lì per contestarlo: “Andate a casa dalla mamma … Vi metterà in castigo”, è stata la replica -. Mentre, a meno di un km di distanza, ce n’erano quasi 10mila per Beto O’Rourke, astro nascente del partito democratico, nonostante la sconfitta nel voto di midterm, potenziale avversario di Trump a Usa 2020.
L’America e la stampa paiono sostanzialmente annoiati dalla diatriba sul muro e non ancora eccitati dalla corsa alla Casa Bianca, a oltre 600 giorni dall’Election Day del 3 novembre 2020. Così l’attenzione di disperde in micro-rivoli polemici: Trump viene criticato perché, per la prima volta dall’inizio del ‘900, non c’è un cane alla Casa Bianca – sinceramente, non se ne sente la mancanza – e perché continua a progettare una parata militare il 4 Luglio, l’Independence Day (l’idea, copiata dalla parata sui Campi Elisi il 14 Luglio, pareva tramontata per eccesso di costi). I mercati, invece, reagiscono bene alle voci d’una proroga dei negoziati commerciali con la Cina, oltre il 1o marzo: fin che si tratta, c’è speranza che la guerra dei dazi non venga combattuta.