Neppure il fedelissimo Mike Pompeo, segretario di Stato per grazia ricevuta da Donald Trump, riesce a mantenersi allineato e coperto dietro il magnate presidente, che sbandiera la sconfitta dell’Isis per giustificare gli annunci di ritiro delle truppe dalla Siria e – parziale – dall’Afghanistan. “Contro l’autoproclamato Califfato sono stati fatti molti progressi, ma il sedicente Stato islamico resta una pericolosa minaccia in Siria e in Iraq”, riconosce Pompeo, aprendo l’incontro dei ministri degli Esteri dei Paesi della coalizione anti-Isis (sono 79, c’è pure l’Italia).
Pompeo sprona la coalizione a “sconfiggere in modo permanente” i miliziani integralisti, così che non abbiano più rifugio sicuro, neanche in Afghanistan. L’obiettivo della riunione è “discutere la prossima fase della campagna in Iraq e in Siria, che – dice il Dipartimento di Stato – si concentrerà sull’impedire una rinascita dell’Isis durante la stabilizzazione” dei due Paesi.
Come ciò si concili con gli annunci di ritiro di Trump, se lo chiede anche il Congresso Usa: martedì, un voto del Senato, a maggioranza repubblicana, diffidava l’Amministrazione dal ritirare le truppe dalla Siria e dall’Afghanistan in modo precipitoso e chiedeva che la sconfitta di al Qaida e Isis fosse prima “certificata”. Pompeo propone cambi di strategia, batte cassa ai partner per la stabilizzazione, li invita a farsi carico dei foreign fighters. Ma non s’azzarda a dire: “Andiamocene, è finita”.