E’ dura fare il Castro per dieci anni, quando non sei Fidel, ma soltanto Raul, il fratello del leader. Ed è più dura ancora fare il Chavez, quando non sei neppure un Chavez, ma solo Nicolas Maduro, autista di autobus, sindacalista, deputato e poi uomo ombra del leader, come ministro degli Esteri e vice-presidente. Fare sopravvivere il ‘chavismo’ senza essere il suo fondatore, Hugo Chavez, e senza averne il carisma, è l’impresa riuscita a Maduro per quasi sei anni, ma costata al Venezuela una crisi economica e sociale terrificante, cui hanno certo contribuito le sanzioni internazionali, e una crescente limitazione delle libertà fondamentali, fino alla crisi istituzionale attuale.
Nicolas Maduro Moros, 56 anni, è l’erede in qualche modo designato di Hugo Chavez, il 45° presidente venezuelano, morto in carica nel 2013 dopo 14 anni al potere – tranne la breve parentesi del colpo di Stato del 2002, per qualche verso simile alla situazione attuale, ma che suscitò molta meno mobilitazione internazionale -: eletto quattro volte, nonostante trascorsi da golpista – nel 1992 organizzò un colpo di stato contro l’allora presidente Carlo Andrés Pérez – e le accuse di populismo autoritario e nel contempo paternalista, Chavez aveva una sua visione di socialismo democratico, nel segno dell’integrazione dell’America latina e dell’anti-imperialismo, ed era fortemente critico della globalizzazione neo-liberista e della politica estera degli Stati Uniti. Che lo ricambiarono sempre, da Bush a Trump via Obama, con pari ostilità.
Di Chavez, Maduro ha ereditato la filosofia politica, un impasto di marxismo e bolivarismo, condito con socialismo terzomondista (dove c’era un po’ di Che Guevara e un po’ di Fidel Castro), teologia della liberazione e nazionalismo di sinistra: per una stagione non brevissima, la ricetta ebbe successo nell’America latina, dai tradizionali ‘covi’ comunisti di Cuba e del Nicaragua alla Bolivia, all’Ecuador, al Brasile.
Quando Maduro divenne presidente, la marea aveva già raggiunto il suo apice e stava cominciando a decrescere. Le sue credenziali erano buone: a parte il gusto per la teatralità e la sovrabbondanza d’orpelli e decorazioni, tradito dalle foto ufficiali, veniva considerato “il ministro e il politico più capace del cerchio magico” del presidente Chavez. Dopo la morte del leader, annunciata il 5 marzo 2013, ci furono elezioni speciali, il 14 aprile, che Maduro, candidato del Partito socialista unito del Venezuela, vinse con uno scarto minimo, il 50,62% dei voti.
Forte di un mandato parlamentare in tal senso, il presidente, dal novembre del 2013, ha governato con decreti in successione, mentre la situazione economica e sociale del Paese si deteriorava: criminalità, inflazione, povertà e fame andavano aumentando, come pure l’esodo dei venezuelani, che ha toccato il suo culmine l’anno scorso, verso i Paesi confinanti, Colombia e Brasile e anche, attraverso la Colombia, Bolivia e Perù.
Numerosi analisti hanno attribuito il declino del Venezuela, pur ricco di petrolio e materie prime, alle politiche economiche di Chavez e di Maduro, che, invece, addossa la colpa alla speculazione e alle mene dei suoi oppositori, oltre che alle sanzioni degli Stati Uniti. Dal 2014, il presidente deve fronteggiare a più riprese proteste popolari, con marce e adunate in tutto il Paese: la repressione fa vittime a decine, la popolarità di Maduro e del governo precipita, ma resta forte nei quartieri più poveri.
Tutto ciò porta, nel 2015, all’elezione di un’Assemblea nazionale espressione dell’opposizione e innesca un movimento per rimuovere dal poter il presidente, che continua ad esercitare il potere avendo dalla sua la Corte costituzionale, l’apparato militare e la commissione elettorale. Il che, l’anno scorso, gli vale una nuova vittoria elettorale contestata, con il tasso di partecipazione più basso nella storia del Paese. E la spirale è andata avvitandosi fino alla crisi odierna.
Sposato due volte, con un figlio avuto dalla prima moglie in politica, ‘Nicolasito’, e tre figliastri della seconda, Cilia Flores, l’avvocatessa che difese Chavez dopo il colpo di Stato del ’92 e che divenne poi la prima presidente donna dell’Assemblea nazionale venezuelana, Maduro – si dice – ha un’inclinazione per i Beatles – e una vera e propria venerazione di John Lennon – e i Led Zeppelin e per tutto ciò che rappresenta la contro-cultura degli Anni 60 e 70. Intorno a lui, un alone di giallo sul luogo di nascita, alimentato da sue contraddittorie dichiarazioni e dal sospetto che non sia venezuelano, ma sia nato colombiano (il che gli precluderebbe costituzionalmente la presidenza): una storia che ricorda le balle su Obama raccontate da Trump e dai suoi accoliti ‘cospirazionisti’.