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PortoRico: Maria, giallo sulle vittime e scandali sugli aiuti

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 03/02/2019

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Il giallo è il numero delle vittime, che, a 16 mesi dal passaggio degli uragani Irma e soprattutto Maria, il peggiore in quasi un secolo, nessuno sa indicare con certezza. Lo scandalo è l’inefficienza nella ricostruzione e la lentezza nel ritorno alla normalità. Donald Trump, a un anno dalla calamità, giudicava un “successo incredibile” per PortoRico la risposta dell’Amministrazione a Maria; e, tre mesi dopo, vuole tagliare i fondi stanziati, convinto che il governo portoricano li usi per pagarsi i debiti invece che per ricostruire.

“Il popolo di PortoRico è meraviglioso, ma i politici sono inetti”, ha scritto su Twitter: “Gli Usa non pagheranno più con i fondi per gli uragani!”. Tanto più che il presidente i fondi per le emergenze progetta di impiegarli per costruire il muro anti-migranti lungo il confine con il Messico. Ma questa è un’altra storia. Quel che irrita Washington è che una missione dell’Onu ha constatato che Cuba, che ha subito a causa di Maria devastazioni paragonabili a quelle di PortoRico, si è ripresa meglio e più rapidamente.

Di quel che accade a Portorico, agli americani non è mai importato molto: è l’isola da cui vengono, fra gli altri, Benicio del Toro e Ricky Martin e numerose stelle degli sport statunitensi – ai Giochi del 2016 in Brasile Monica Puig vinse il singolare femminile nel tennis, conquistando all’isola la prima medaglia d’oro della sua storia -; ma è pure un territorio i cui immigrati sono stati a lungo sinonimo di malavita e malaffare (fin quando gli haitiani non li hanno spodestati). C’è un sussulto d’interesse ora che una giovane di New York di madre portoricana, Alexandria Ocasio-Cortez, 29 anni, è divenuta la più giovane eletta di sempre alla Camera di Washington ed è un astro nascente della sinistra democratica. Fra le vittime del passaggio di Maria, c’è il nonno materno d’Alexandria, che viveva in una casa di riposo.

Grande come l’Umbria – circa 9000 kmq – e con circa tre milioni e mezzo di abitanti, di cui la metà nell’area della capitale San Juan, l’isola è la più piccola delle Grandi Antille. Il suo statuto è incerto: è un territorio non incorporato degli Stati Uniti, ma i portoricani dal 1917 sono cittadini statunitensi, pur senza diritto di voto alle politiche e alle presidenziali. Con un referendum consulltivo, nel 2012, oltre tre su cinque si sono detti favorevoli a divenire uno Stato dell’Unione, avviando un processo che potrebbe farne il 51° Stato federale. Ma ancora non ci siamo: PortoRico è in un limbo istituzionale, combattuto tra handicap politici e vantaggi economici.

Per la sua collocazione geografica, l’isola è avvezza al passaggio d’uragani devastanti, ma Maria è stato uno dei peggiori mai vissuti. Quando si fece la conta dei danni, nell’ottobre 2017, il numero delle vittime risultò però basso rispetto all’entità del fenomeno e al temuto: 64, fu il bilancio ufficiale e definitivo.

Sei mesi dopo, uno studio dell’Università di Harvard calcolava a 4.600 le vittime. Ad agosto, Ricardo Rosello, il governatore, ammetteva che fossero circa 1600, salvo poi riconoscere, il mese dopo, sulla base di uno studio della George Washington University da lui stesso commissionato, che le persone decedute a causa di Maria o per le sue conseguenze sono quasi 3000, esattamente 2.975, quasi 50 volte di più della stima iniziale.

Il numero dei morti era subito parso inadeguato, a fronte all’entità dei danni materiali: venti a oltre 240 kmh e piogge torrenziali avevano provocato 90 miliardi di danni el asciato l’isola per 84 giorni senza elettricità, 64 giorni senz’acqua e 41 giorni senza copertura dei telefoni cellulari.

Le autorità locali hanno accusato quelle federali di avere deliberatamente sottostimato il bilancio delle vittime, chiedendo al Congresso quasi 140 miliardi di dollari per ripristinare le infrastrutture e la rete elettrica distrutte o danneggiate. Uno dei motivi della discrepanza è che il bilancio iniziale riguardava solo i morti immediatamente causati dall’uragano, con crolli, annegamenti, sinistri, mentre le stime successive tengono conto dei decessi anche nei sei mesi successivi, conseguenza delle peggiorate condizioni igienico-sanitarie. La carenza di acqua potabile e i ripetuti blackout hanno toccato praticamente tutta la popolazione.

Intanto, i democratici e i media avevano già attirato l’attenzione su aspetti oscuri dei soccorsi e della ricostruzione. Elijah Cumming e Stacey Plaskett, delegati al Congresso per le Isole Vergini, chiedevano alla commissione investigativa del Congresso di imporre alla Federal emergency management Agency (Fema), cioè la protezione civile, di fornire dati sugli interventi successivi all’uragano Maria, ipotizzando che l’Agenzia non avesse fornito decine di milioni di pasti pattuiti.

Con una lettera allo House Oversight Committee, i due misero in discussione un contratto da 156 milioni di dollari con una ditta di Atlanta, la Tribute Contracting Llc, con un giro d’affari annuo d’appena 1000 dollari. La società avrebbe fornito solo 50 mila dei 30 milioni di pasti previsti, ossia meno dello 0,25%. Il contratto fu rescisso poco dopo la firma, ma va chiarito come mai un appalto cos’ grosso sia finito ad una ditta così piccola.

Fra gli effetti dell’uragano, l’esodo di centinaia di migliaia di portoricani – per molti, permanente – verso il continente: delle 1.113 scuole di PortoRico, solo 119 avevano riaperto a fine 2017, alimentando i sospetti del sindacato degli insegnanti che il governo ne rallentasse la ricostruzione per favorirne la privatizzazione – come già successo a New Orleans, dopo il passaggio di Katrina nel 2005 -. Per Julia Keleher, responsabile dell’istruzione pubblica e fautrice della privatizzazione delle scuole, Maria ha dato all’isola “l’opportunità di spingere il tasto reset”.

La rete elettrica, che pareva essersi ripresa, smise di funzionare a novembre. Una piccola azienda del Montana, legata al segretario all’Interno Usa, Ryan Zinke, poi dimessosi, ottenne un contratto da 300 milioni di dollari per ripararla. Ma la Whitefish non aveva alcuna esperienza nel campo: fatturava 319 dollari l’ora il lavoro dei tecnici, retribuendoli con 63 dollari e intascando il resto. Anche questo contratto fu stracciato.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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