Lo stillicidio delle defezioni indebolisce, giorno dopo giorno, il potere di Nicolas Maduro. Ma non è – ancora? – l’esodo che forse l’autoproclamato presidente Juan Guaidò sperava. Scarlet Salazar, console del Venezuela a Miami, disconosce Maduro e riconosce Guaidò come legittimo presidente, chiedendo ai suoi colleghi negli Stati Uniti e in altri Paesi di fare altrettanto.
Analogo passo aveva fatto nel week-end l’addetto militare del Venezuela a Washington, colonnello José Luis Silva Silva. Via tweet, Guaidò dà il benvenuto “a tutti coloro che vogliono essere coerenti con la Costituzione e con la volontà del popolo venezuelano”; estende la promessa d’amnistia anche ai prigionieri politici; chiede ai militari di non reprimere le proteste, “non sparate su chi manifesta pacificamente”.
I vertici militari, però, mantengono il sostegno a Maduro, dopo che presidente, domenica, aveva personalmente partecipato all’avvio di esercitazioni delle Forze armate nazionali bolivariane (Fanb) nello Stato di Carabobo, nel centro del Paese: è sicuro della lealtà dei soldati “di fronte al tentativo di colpo di Stato”. Il Cremlino nega che un contingente di 400 mercenari russi sia stato inviato in Venezuela per proteggere il regime.
La Casa Bianca promette di reagire, se Guaidò sarà minacciato. Russia e Iran spronano al dialogo. E di dialogo, e di rispetto dei diritti umani, parla anche Papa Francesco, meno schierato pro Guaidò della chiesa locale, sta “con tutto il popolo venezuelano” ed è preoccupato di uno “spargimento di sangue”.
Il bilancio delle violenze che hanno segnato il Paese, nei sei giorni successivi all’autoproclamazione di Guaidò, è salito a 35 vittime. Secondo un’organizzazione che tutela il rispetto dei diritti umani, 850 cittadini venezuelani, fra cui 77 minorenni ‘under 14’, sono stati “arrestati arbitrariamente e messi sotto custodia delle forze di sicurezza”. Ma la situazione complessiva resta relativamente calma.
Ed emergono segnali che, dietro la mossa di Guaidò, incoraggiata, se non suggerita, dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il primo a riconoscerlo, ci stiano interessi economici ed energetici, più che l’attenzione e la sensibilità alle difficili condizioni del popolo venezuelano. Washington, intanto, accetta come rappresentante legittimo del Venezuela negli Stati Uniti un noto oppositore del ‘chavismo’, Carlos Alfredo Vecchio, indicato da Guaidò.
In una conferenza stampa, al rientro a Caracas da New York, dopo avere partecipato alla riunione ‘ad hoc’ del Consiglio di Sicurezza, il ministro degli Esteri Jorge Arreaza ha detto che “le sanzioni degli Usa sono costate al Venezuela dal 2017 almeno 23 miliardi di dollari”: “denaro che doveva essere utilizzato per comprare medicine, generi alimentari, materie prime, per realizzare infrastrutture e per rispettare gli impegni finanziari internazionali”.
Si è pure appreso che è stato Guaidò a bloccare il rientro a Caracas di 31 tonnellate di oro depositate dal governo Maduro nelle casse della Banca d’Inghilterra: l’autoproclamato presidente ha scritto alla premier May e al governatore Carney, denunciando “una transazione illegittima” e sostenendo che “i fondi, se fossero stati trasferiti, sarebbero stati usati dal regime per reprimere il popolo”. E Washington avrebbe ceduto a Guaidò il controllo dei beni venezuelani in territorio statunitense, secondo quanto detto dal senatore repubblicano della Florida Marco Rubio.
Per Guaidò, le transazioni disposte dal presidente della Banca Centrale venezuelana Calixto Ortega non sono legali, perché Ortega non è stato nominato dal Parlamento, come prevede la Costituzione.
Sul fronte diplomatico, si muove poco: la lista dei Paesi che, seguendo l’invito degli Stati Uniti, riconoscono Guaidò s’allunga con l’Australia e Israele – non c’è da sorprendersene -, mentre l’Arabia saudita opera contro Caracas sul mercato del petrolio. Le ore dell’ultimatum europeo stanno sccorrendo: otto giorni per proclamare nuove elezioni, pena il riconoscimento di Guaidò. Maduro respinge la richiesta, giudica l’Ue “arrogante”: “Nessuno può darci ordini a casa nostra”; ma svaluta una volta di più la moneta, equiparando il corso ufficiale a quello del mercato nero.