C’era (stata) una volta la conferenza di Palermo sulla Libia: due mesi or sono o poco più, il 12 e 13 novembre. Qualcuno aveva alimentato la (falsa) speranza che una quadra fosse stata trovata. I fatti degli ultimi giorni e il rapporto presentato ieri al Consiglio di Sicurezza dall’inviato dell’Onu Ghassan Salamé confermano l’ovvio, cioè che non è così: in Libia, si continua a sparare; a Tripoli, il premier riconosciuto dalla comunità internazionale al Sarraj è contestato dai suoi vice, che lo accusano di “portare il Paese al collasso” – come se non lo fosse già -; in Cirenaica, il generale Haftar la fa da padrone con pesanti avalli internazionali, Egitto, Russia, Francia.
Salamé prospetta all’Onu una sorta di percorso elaborato da 15 esponenti di tutte le fazioni libiche: prima le elezioni parlamentari “per unificare la Libia”; poi l’elaborazione della Costituzione, che dovrebbe definire termini e mandato del presidente, senza la quale elezioni presidenziali sarebbero “pericolose e divisive”. Il testo offrirebbe una base di lavoro alla Conferenza nazionale che Salamé vorrebbe convocare entro febbraio e il cui esito dovrebbe essere avallato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Fonti libiche hanno spiegato all’AdnKronos che il documento è stato recepito da Salamé, che, prima di Natale, dopo una riunione di tre giorni in Tunisia con 65 esponenti di tutte le componenti libiche, aveva suggerito di creare un gruppo ristretto di 15 persone. Il gruppo s’è riunito due volte e ha messo a punto un testo di sei pagine intitolato ‘National conference concept paper’.
In esso, si legge tra l’altro che “la legittimità delle istituzioni libiche attuali è esaurita”, il che rende la situazione sempre più tesa, come dimostrano gli scontri degli ultimi giorni a sud di Tripoli, che hanno fatto almeno nove vittime e decine di feriti. Il documento evoca, quindi, la volontà dei libici d’affidarsi alla comunità internazionale e all’Onu per trovare a una soluzione che metta fine al caos di questi ultimi otto anni del ‘dopo Gheddafi’.
Nel rapporto al Consiglio di Sicurezza, Salamé è ieri parso dare credito a questa visione ottimistica: é “l’ora per la Libia di riunirsi con spirito di compromesso e superare le difficoltà del passato”, dopo che “la situazione di stallo è stata sostenuta da interessi gretti, un quadro giuridico distrutto e la razzia della grande ricchezza del Paese”. Il diplomatico libanese ha concluso: “Invito i membri delle varie istituzioni libiche a vedere la Conferenza nazionale come un interesse patriottico che trascende faziosità e personalismi”; e chissà se credeva alle sue parole.
Di fatto, a Tripoli si vive di nuovo nella paura di un conflitto: dopo mesi di calma grazie all’accordo di cessate il fuoco di settembre, la capitale è stata due giorni fa teatro di nuovi scontri letali. Ancora più grave la situazione nel sud, a Sabha, divenuta terreno di battaglia fra al Serraj e Haftar e dove ieri s’è avuta notizia dell’uccisione di un presunto leader di al Qaida.
Nella sua recente missione in Africa, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte ha ribadito l’impegno a stabilizzare la Libia in funzione anti-terrorismo (e pure contro la ripresa delle partenze dei migranti, al momento quasi ferme). Ma l’azione dell’Italia continua a essere osteggiata, quando non ostacolata, dalla Francia, mentre la Germania starebbe, su questo dossier, più con Roma che con Parigi: così, almeno, avrebbe detto la cancelliera Merkel al presidente Mattarella.