Oggi, diventa il più lungo nella storia degli Stati Uniti. Mai uno shutdown, cioè una serrata dell’Amministrazione federale, era durato più di tre settimane: oggi si apre la quarta, senza un’ipotesi d’intesa nel braccio di ferro tra il presidente Donald Trump e il Congresso a parziale guida democratica: “No muro – lungo il confine con il Messico, in funzione anti-migranti -, no accordo”, dice il vice-presidente Mike Pence, recitando un mantra di Trump.
Che, in visita alla frontiera fra Texas e Messico e di ritorno alla Casa Bianca, rimugina sul ricorso all’emergenza nazionale – così per costruire il muro userebbe i fondi delle catastrofi naturali – e s’esibisce in bizzarri aforismi: “Il muro è medievale? La ruota è più antica e funziona” – i muri, invece, non hanno mai resistito ai popoli, dalla Muraglia Cinese a quello di Berlino -.
Fronte muro, insomma, siamo al muro contro muro: i costi, calcolati da Standard & Poor, ammontano già a 3,6 miliardi di dollari. Ma un altro rovello tormenta, in queste ore, gli americani che s’interessano di politica internazionale: sulla Siria, chi mente a chi?, i generali, che dicono che il ritiro è in corso?, o gli emissari del presidente, che fanno il giro degli alleati a dire che per il ritiro ci vorrà del tempo?, o il presidente?
Trump, di sicuro, non l’ha contata giusta, visto che tre settimane fa dava il ritiro per imminente e adesso prospetta che non sia cosa fatta per almeno quattro mesi. Di sicuro, i russi appaiono più divertiti che irritati dal minuetto americano: “Abbiamo l’impressione – dice Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri, usando lo strumento per lei inconsueto dell’ironia – che se ne stiano andando dalla Siria per rimanervi… Non sono sicura che se ne stiano andando…”.
La Zakharova reagisce a una dichiarazione del portavoce della Coalizione internazionale anti-Isis a guida Usa, citato dai media panarabi, secondo il quale gli Stati Uniti hanno iniziato il ritiro militare dalla Siria, dove mantenevano circa duemila uomini, soprattutto nell’Est e nel Nord del Paese. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria sostiene che un convoglio di mezzi militari americani ha lasciato la Siria in direzione dell’Iraq, varcando il valico di Fishkhabur, sul Tigri, dalla città siriana di Rmeilan verso il Kurdistan iracheno.
Forse per non rendere troppo stridente il contrasto fra le notizie al terreno e le assicurazioni fornite dal segretario di Stato Mike Pompeo e dal consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton a tutti gli alleati e partner mediorientali, il Pentagono ha poi precisato che è cominciato il ritiro dalla Siria di alcuni equipaggiamenti, ma non dei soldati americani.
L’annuncio del ritiro, fatto a sorpresa da Trump il 20 dicembre, aveva innescato le dimissioni del segretario alla Difesa James Mattis e del suo capo di gabinetto, Kevin Sweeney, ed aveva pure messo in allarme Bolton, che vorrebbe prima certificata la neutralizzazione dell’Isis (che, da giorni, dà invece segni di ritrovata virulenza) e che chiede ad Ankara assicurazioni che non approfitterà della situazione per lanciare un’offensiva contro i curdi.
In ritardo nel colmare i vuoti creati nella sua Amministrazione da dimissioni e licenziamenti, Trump ha ieri nominato Charles Kupperman come vice di Bolton, al posto di Mira Ricardel, cacciata perché invisa alla first lady Melania. Kupperman, collaboratore di Bolton da oltre 30 anni, è stato nell’amministrazione Reagan e ha una lunga esperienza nel settore. E’ stato anche un alto dirigente di Boeing e Lockheed Martin.