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Usa: muro, Trump a confine minaccia emergenza

Scritto per Il Fatto Quotidiano dell'11/01/2018

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Non l’ha ancora fatto, ma non ha certo rinunciato all’idea di farlo: Donald Trump continua a flirtare con l’emergenza nazionale. “Non sono ancora pronto a dichiararla –dice-, ma lo farò se lo shutdown continua”. Eppure, lui potrebbe fare cessare da un minuto all’altro la serrata dell’Amministrazione, che interessa oltre 800 mila lavoratori -350 mila dei quali costretti a stare a casa senza stipendio -, e che costa 1,2 miliardi di dollari la settimana (lo 0,5% del Pil)l: gli basterebbe rinunciare a vincolare la fine dello shutdown al finanziamento del muro anti-migranti al confine con il Messico.

Prima di compiere, ieri, un sopralluogo lungo la frontiera, Trump ha detto: “L’emergenza nazionale mi darebbe una disponibilità di fondi enormi”, più di quelli necessari a realizzare il muro sul confine senza l’avallo del Congresso. Una via giudicata incostituzionale da numerosi giuristi, ma il presidente ha le sue certezze:  “Ho il pieno diritto di farlo, gli avvocati me l’hanno detto”. Tutto dipende dalla valenza data alla situazione venutasi a creare alla frontiera con il Messico: per Trump, è una crisi umanitaria e di sicurezza; per la maggioranza degli americani, al massimo è un problema.

Nella sua missione lungo il confine, il presidente è stato prima a McAllen, in Texas, dove ha incontrato la polizia e ha partecipato s un dibattito sull’immigrazione; poi s’è spostato sul Rio Grande, dove ha ascoltato un briefing sulla sicurezza. A Washington, il Congresso lavora a tamponare i danni dello shutdown, che sta per completare la terza settimana.

Per dare un’idea della gravità del momento, il magnate presidente fa sapere che non andrà a Davos, al World Economic Forum di Davos, il prossimo 22 gennaio, se lo stallo sullo shutdown non sarà stato risolto: una prospettiva che non mette i brividi agli americani. Dopo il discorso alla Nazione dallo Studio Ovale martedì sera, Trump e i leader dei democratici al Congresso hanno avuto, mercoledì, un incontro scontro: dopo l’ennesimo ‘no’ democratico al finanziamento del muro, Trump s’è alzato e se n’è andato dalla stanza, “Bye Bye, non abbiamo più niente da dirci” – ma nega di averlo fatto dopo avere battuto il pugno sul tavolo -. E poi s’è lamentato del “tempo perso”.

Che il clima politico fosse tesissimo lo si era capito poche ore prima, quando parlando in diretta tv e a reti unificate il presidente non aveva ceduto di un millimetro sul progetto simbolo della sua ascesa alla Casa Bianca. Ma il magnate è vulnerabile, costretto a fronteggiare non solo i democratici che lo accusano di tenere in ostaggio il Paese con lo shutdown, ma pure numerosi repubblicani avviliti e preoccupati dallo stallo. E i democratici incalzano: “Tutti vogliamo più sicurezza, ma nel rispetto dei valori dell’America, il cui simbolo è la Statua della Libertà, non una barriera alta 10 metri” lungo il confine.

Con i loro match verbali, Trump e Nancy Pelosi, la speaker della Camera, si sono ben guadagnati la copertina di Time in uscita il 21 gennaio con il titolo ‘The Art of Duel’, l’arte del duello. L’immagine ritrae il presidente e la deputata californiana affrontarsi a colpi rispettivamente di tweet e di mandati di comparizione (un riferimento anche al Russiagate): il negoziato tra Casa Bianca e opposizione pare incagliato, entrambe le parti sono più interessate ad addebitarsi l’una all’altra la responsabilità dello shutdown che a cercare una soluzione.

Trump, naturalmente, gioca su più tavoli. Ostenta fiducia a quello dei negoziati con la Cina: vanta un “enorme successo” delle trattative commerciali cominciate a inizio settimana e giudica “più facile fare un accordo con Pechino che con i democratici”. Ed è sulla difensiva sugli ultimi sviluppi dell’inchiesta condotta dal procuratore speciale Robert Mueller sull’intreccio di contatti, nel 2016, tra la sua campagna ed emissari del Cremlino: a chi gli chiede se gli risultasse che il capo della sua campagna, Paul Manafort, aveva condiviso dati riservati con un socio russo, risultato poi legato all’intelligence russa, risponde “No, non ne sapevo nulla”.

Intanto, dopo il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, tocca al segretario di Stato Usa Mike Pompeo fare il giro delle capitali del Medio Oriente per tranquillizzare partner – l’Iraq – e alleati – Israele – che gli Stati Uniti non s’apprestano a lasciare la Regione, nonostante le sparate del presidente sul ritiro delle truppe dalla Siria e – parziale – dall’Afghanistan.

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gphttps://www.giampierogramaglia.eu
Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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